La conversione di S. Paolo

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Riferimento: S44226
Autore Enea VICO
Anno: 1545
Misure: 935 x 530 mm
4.000,00 €

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Riferimento: S44226
Autore Enea VICO
Anno: 1545
Misure: 935 x 530 mm
4.000,00 €

Descrizione

La conversione di San Paolo; grande paesaggio con San Paolo caduto da cavallo al centro, circondato da cavalieri spaventati.

Bulino, 1545, impresso su due grandi fogli di carta, incollati al centro. Iscrizione sul masso frammentario a sinistra: COSMIMED. FLORENTIAE / DVCIS. II. LIBERALITATI /D. /FRANCISCI FLOR. IO. CAR. SALVIATI. /ALVMNI INVENTVM. /AENEAS. PARMEN. EXCVDEBAT. /ANNO. D. MDXLV. Da un soggetto di Francesco Salviati.

Esemplare nel rarissimo primo stato di tre, prima della presenza, sullo scudo in primo piano, dell’indirizzo Appresso Luca Guarinoni e prima dei ritocchi a bulino.

Secondo Bartsch l’incisione derivava da un dipinto non rintracciato di Frans Floris. L'attribuzione non era corretta ed è stata rifiutata nel New Hollstein. In realtà, si tratta di una derivazione da Francesco Salviati (1509-1563). Michael Bury riteneva probabile che la stampa fosse stata commissionata dallo stesso Salviati (cfr. Print Quarterly II 1985, p. 22), mentre David Franklin, suggerisce che Salviati intendesse utilizzare questa stampa come un modo per pubblicizzarsi, forse influenzato dall'esempio di Tiziano. Secondo Alessandro Nova, i motivi che spinsero Salviati a pubblicare l’incisione furono molteplici: la necessità di imporsi nel competitivo ambiente mediceo dopo un lungo periodo di assenza fu determinante, ma non bisogna sottovalutare il desiderio di misurarsi con Michelangelo che in quegli anni andava affrescando lo stesso tema sulle pareti della Cappella Paolina in Vaticano.

“La Conversione di San Paolo ha goduto di una vasta fortuna critica fin dal suo apparire nel 1545. Dopo averla dedicata al duca Cosimo I de’ Medici, Salviati ne spedì un esemplare all’Aretino, che lo ringraziò con una lettera (agosto 1545). La missiva dell’Aretino, fra le più lunghe del ricco epistolario, è un documento fondamentale per la critica d’arte rinascimentale e per valutare in quale alta considerazione fossero tenute le stampe verso la metà del secolo. Le straordinarie capacità narrative dello scrittore, abituato a collaborare con l’amico Tiziano, e il suo talento furono particolarmente stimolati dalla concitata composizione salviatesca. La fama riscossa presso i contemporanei dalla grande incisione del Vico, lunga quasi un metro e stampata su due fogli, come già la Battaglia delle divinità marine di Andrea Mantegna (Hind, V, 15, 5 e 6), è confermata dalle citazioni encomiastiche nelle opere del Doni (1549) e del Vasari (1568). A detta di questi, “quella gran carta della Conversione di San Paulo, piena di cavagli e di soldati, che fu tenuta bellissima e diede gran nome ad Enea” era stata “disegnata molto prima in Roma” dal Salviati. La cura con cui venne preparata quest’opera è documentata dai numerosi disegni a essa relativi. […] La composizione suscitò l’entusiasmo dell’Aretino, forse in grado di apprezzare le citazioni raffaellesche: gli effetti di luce, l’animazione della scena, il paesaggio “all’antica” e le citazioni erudite erano fatte apposta per sollecitare la reazione di un osservatore smaliziato come lui. Il tema era prediletto dagli incisori per le sue potenzialità narrative e drammaturgiche. Si sarebbe tentati di definire la Conversione del Salviati un’opera tipicamente manierista per quel suo dinamismo parossistico, ma alcuni elementi della composizione facevano parte di un repertorio ormai consolidato: il fiorentino Francesco Rosselli, che morì nel 1513, aveva già inciso una Conversione (Amburgo, Kunsthalle; Landau e Parshall, 1994, p. 83, fig. 73) in cui uno degli armati si tiene il capo fra le mani e i soldati in primo piano fuggono a gambe levate in direzione dell’osservatore, in pose simili a quelle immaginate qui. I motivi che spinsero Salviati a pubblicare l’incisione furono molteplici: la necessità di imporsi nel competitivo ambiente mediceo dopo un lungo periodo di assenza fu determinante, ma non bisogna sottovalutare il desiderio di misurarsi con Michelangelo che in quegli anni andava affrescando lo stesso tema sulle pareti della Cappella Paolina in Vaticano” (cfr. Nova, Le immagini del sacro: Sola Gloria Dei - La storia e l’allegoria - Il mondo del ornamento pp. 136-137).

Enea Vico fu numismatico, disegnatore, scrittore ed incisore, attivo a Roma, poi a Firenze, a Venezia e infine a Ferrara. Con la sua opera incisa e con i suoi scritti ha efficacemente contribuito alla diffusione della cultura antiquaria nella seconda metà del sec. XVI. Ha intagliato circa 500 bulini, soprattutto soggetti di riproduzione. Questa stampa ebbe il merito di accrescergli la fama. Rifacendosi alla propria cultura antiquaria, il Vico inserì nello sfondo una città circondata da mura classiche che cingono edifici turriti orientaleggianti.

La letteratura fa molta confusione sugli stati di questa lastra. Le Blanc è quello che elenca correttamente la lista degli stati: il primo è quello senza indirizzi editoriali e prima dei ritocchi a bulino; il secondo viene stampato da Luca Guarinoni (attivo 1560-80 a Venezia); il terzo stato della stampa reca aggiunto nel cartiglio con la dedica l’indirizzo di Giacomo Paolini, stampatore veneziano del XVII secolo. Un’esemplare dell’opera è nella collezione Bertarelli di Milano:

https://graficheincomune.comune.milano.it/graficheincomune/immagine/M.P.P.+179

Buona prova, impressa su due grandi fogli di carta vergata coeva con filigrana “balestra nel cerchio con giglio” (nel foglio di sinistra, Woodward n. 216, la riscontra su opera datate dal 1542 al 1554), irregolarmente rifilata la rame, interventi di restauro agli angoli e lungo la giuntura centrale, numerose abrasioni e tracce di colla la verso, per il resto in buono stato di conservazione.

Opera molto rara e spesso in mediocre conservazione anche nelle raccolte pubbliche, come dimostra questo esemplare della raccolta dell’Istituto Nazionale per la Grafica:

https://www.calcografica.it/stampe/inventario.php?id=S-FN1069

Curiosamente sono molto più belli gli esemplari tardi editi da Guarinoni e Paolini, perché sono totalmente ritoccati a bulino, come possiamo vedere da questo splendido esemplare del British Museum:

https://www.britishmuseum.org/collection/object/P_1871-0812-86

Bibliografia

Bartsch, Le Peintre graveur (XV.286.13); The New Hollstein: Dutch and Flemish etchings, engravings and woodcuts 1450-1700 (R5.II); Alessandro Nova, Le immagini del sacro: Sola Gloria Dei - La storia e l’allegoria - Il mondo del ornamento, in  Monbeig-Goguel, Catherine, “Francesco Salviati (1510 - 1563), o la Bella Maniera” Roma, Villa Medici 29 gennaio - 29 marzo, 1998, pp. 136-137, n. 29; David Franklin, “Leonardo, Michelangelo e il Rinascimento a Firenze”, 2005, pagg. 225-26; Nagler, 1860, II, p. 876; Passavant, 1864, VI, p. 122, n. 13; The Illustrated Bartsch, 30, p. 23, n. 13; Landau e Parshall, 1994, pp. 293-294, fig. 311; Michael Bury, The Taste for Print in Italy to c. 1600, in “Print Quarterly”, II 1985, p. 18-22, n. 10; Le Blanc (1889), IV, p. 117, n. 13, I/III. 

 

 

 

Enea VICO (Parma 1523 - Ferrara 1567)

Enea, figlio di Francesco, è antiquario, disegnatore, incisore e numismatico. Nasce a Parma il 19 gennaio 1523 e non nel 1521 come stabilisce l’Huber. Dopo aver acquisito una prima formazione letteraria e artistica in questa città, e forse conosciuto i principi del disegno alla scuola di Giulio Romano, Enea si trasferisce a Roma nel 1541. Nella città pontificia Enea lavora per Tommaso Barlacchi, lo stampatore che compare al suo fianco come incisore in una serie di grottesche edite nel 1542. Nel clima classicheggiante ed erudito della città, il suo stile si affina sui modelli di Perin del Vaga e di Francesco Salviati, pur sempre interpretati secondo la lezione di Parmigianino. Entro il V decennio del secolo il Vico, dopo aver assimilato la lezione dei grandi maestri, Marcantonio, Agostino Veneziano, Caraglio, Bonasone, acquisisce uno stile personale che lo porta a realizzare le sue stampe migliori. Lasciata Roma per Venezia, il Vico soggiorna a Firenze presso Cosimo I prima di stabilirsi a Venezia dove, a detta del Vasari, era andato nel 1557. Successivamente nel 1563 passa al servizio di Alfonso d’Este a Ferrara rimanendovi fino alla morte avvenuta il 17 agosto 1567. Di Vico rimangono circa 500 incisioni a bulino: ritratti, serie di vasi antichi, gemme e cammei, incisioni da opere di Raffaello, Michelangelo, Salviati, ecc.; la raccolta Le immagini delle donne auguste (tratte da medaglie romane, 1557). La sua fama di numismatico trova conferma nei volumi Immagini con tutti i riversi trovati et le vite degli imperatori (1548); Discorsi sopra le medaglie degli antichi (1555); Commentari alle antiche medaglie degli imperatori romani (1560).

Enea VICO (Parma 1523 - Ferrara 1567)

Enea, figlio di Francesco, è antiquario, disegnatore, incisore e numismatico. Nasce a Parma il 19 gennaio 1523 e non nel 1521 come stabilisce l’Huber. Dopo aver acquisito una prima formazione letteraria e artistica in questa città, e forse conosciuto i principi del disegno alla scuola di Giulio Romano, Enea si trasferisce a Roma nel 1541. Nella città pontificia Enea lavora per Tommaso Barlacchi, lo stampatore che compare al suo fianco come incisore in una serie di grottesche edite nel 1542. Nel clima classicheggiante ed erudito della città, il suo stile si affina sui modelli di Perin del Vaga e di Francesco Salviati, pur sempre interpretati secondo la lezione di Parmigianino. Entro il V decennio del secolo il Vico, dopo aver assimilato la lezione dei grandi maestri, Marcantonio, Agostino Veneziano, Caraglio, Bonasone, acquisisce uno stile personale che lo porta a realizzare le sue stampe migliori. Lasciata Roma per Venezia, il Vico soggiorna a Firenze presso Cosimo I prima di stabilirsi a Venezia dove, a detta del Vasari, era andato nel 1557. Successivamente nel 1563 passa al servizio di Alfonso d’Este a Ferrara rimanendovi fino alla morte avvenuta il 17 agosto 1567. Di Vico rimangono circa 500 incisioni a bulino: ritratti, serie di vasi antichi, gemme e cammei, incisioni da opere di Raffaello, Michelangelo, Salviati, ecc.; la raccolta Le immagini delle donne auguste (tratte da medaglie romane, 1557). La sua fama di numismatico trova conferma nei volumi Immagini con tutti i riversi trovati et le vite degli imperatori (1548); Discorsi sopra le medaglie degli antichi (1555); Commentari alle antiche medaglie degli imperatori romani (1560).