Ercole e Anteo
Riferimento: | S17262 |
Autore | Primo Incisore |
Anno: | 1497 ca. |
Misure: | 195 x 280 mm |
Riferimento: | S17262 |
Autore | Primo Incisore |
Anno: | 1497 ca. |
Misure: | 195 x 280 mm |
Descrizione
Bulino, 1497 circa, privo di firma.
La composizione deriva dagli affreschi del Mantegna per la Camera degli Sposi (nelle cronache chiamata Camera Picta) nel castello di San Giorgio a Mantova; il tema delle fatiche di Ercole era uno dei più popolari dell’arte del Rinascimento, in particolare in quella del Mantegna e della sua scuola. Oltre a questo lavoro e agli affreschi, ci sono pervenuti un disegno, conservato agli Uffizi, altre due incisioni della scuola e due firmate da Giovanni Antonio da Brescia.
L’opera rappresenta uno dei lavori di maggior qualità tra le incisioni della cerchia del Mantegna, molto vicino alla tecnica del Maestro. Recenti studi di David Landau e Susan Boorsch assegnano la paternità dell’opera ad un pittore, denominato “Primo Incisore”.
La stampa raffigura Ercole che lotta con Anteo, il gigante che traeva la propria soverchiante forza dal contatto con il suolo della madre Gea, la dea Terra: Ercole afferra Anteo frontalmente e lo tiene sollevato, unico modo, come comprende l'eroe, per neutralizzarne la forza e soffocarlo. Sul lato sinistro dell'incisione si legge «DIVO HERCULI INVICTO», un'iscrizione verticale nella quale le lettere sono alternativamente disposte diritte e ruotate di novanta gradi. Si è proposto di riconoscere in questa dedica, ricorrente anche in stampe mantegnesche non legate al mito di Ercole, un omaggio ad Ercole I d'Este, duca di Ferrara dal 1471 al 1505 e padre di Isabella d'Este, per il quale l'uso dei termini «divus» e «invictissimus» risulta attestato da iscrizioni su alcune monete e medaglie del tardo Quattrocento.
Nella mostra londinese del 1992, Suzanne Boorsch inserisce la stampa nel corpus di incisioni realizzate da un maestro appartenente alla stretta cerchia mantegnesca, che la studiosa battezza "primo incisore" (premier engraver) per sottolinearne la fedeltà alla tecnica incisoria di Mantegna e la notevole abilità. Già Hind aveva del resto riconosciuto nell'Ercole e Anteo una tecnica esecutiva molto prossima a quella di Mantegna in stampe come la Zuffa degli dèi marini, esperta nella conduzione del bulino e capace di delicate modulazioni tonali, particolarmente ricche sulle superfici del tronco in ombra alle spalle dei lottatori. La presenza dell'Ercole e Anteo tra le lastre di incisioni che il figlio di Mantegna, Ludovico, ha in casa nel 1510, all'epoca dell'inventario dei suoi beni, mette a suo modo in evidenza la particolare importanza di questa incisione, realizzata sull'altro lato della lastra recante le Quattro muse danzanti. Questa stretta relazione materiale con le Quattro muse danzanti, invenzione che dipende dal Parnaso di Mantegna del 1497 (ora al Louvre), sembra implicare anche per l'Ercole e Anteo una datazione agli anni Novanta del Quattrocento. Tale ambito cronologico risulta inoltre suggerito dalla tipologia stessa delle figure, robuste e muscolose, solidamente inserite nello spazio, per le quali possono evocarsi convincenti termini di confronto con la produzione pittorica del Mantegna tardo, come la grisaille con Davide con la testa di Golia (Vienna, Kunsthistorishes Museum). Per l'identità storica di questo anonimo e dotatissimo incisore, i recenti ritrovamenti documentari, e le notizie già note, sembrano suggerire il nome dell'orafo e incisore Gian Marco Cavalli, impiegato come incisore da Mantegna già nel 1475 e rimasto a stretto contatto col maestro fino alla morte di questi, come prova la sua presenza alla redazione del testamento di Mantegna del 1506.
La più evidente fortuna della stampa, tematicamente riconducibile in un più ampio gruppo di disegni e incisioni mantegnesche dedicato alle Fatiche di Ercole, si consuma nella stessa cerchia del pittore. In particolare, Giovanni Antonio da Brescia ne riproduce una copia a bulino in controparte, ottenuta sembra non direttamente dalla lastra dell'incisione bensì trasferendo su una nuova lastra i contorni traforati di una versione a stampa della composizione (cfr. S. Boorsch in Andrea Mantegna 1992, p. 312).
“Mantegna apparently designed at least two different cycles of the deeds of Hercules. One comprises six frescoes on the ceiling of the Camera degli Sposi, while another is recorded in a document of 1463 which states that an artist named Samuele painted a room dedicated to Hercules using drawings by Mantegna.
Two basic versions of the Hercules and Antaeus scene by Mantegna are known. The composition used in the fresco of the Camera reappears in a number of variations, including several engravings and a drawing recently attributed to Mantegna. All of these versions show the figure of Hercules in a striding posture, holding Antaeus from behind or from one side, so that both the hero's arms cut into the midriff of his victim. Antaeus's legs are spread in a scissors movement. As Mezzetti (cfr. Andrea Mantegna, Catalogo della Mostra, Venezia 1961) points out, this composition is quite close to antique models, such as the sculpture group in Marbury Hall, Smith Barry Collection. The figures' great activity, their rather slender proportions, and their lack of volume are all typical of Mantegna's early works in Mantua.
The version recorded in our engraving is quite different and clearly later. Hercules' pose is more solid and more suggestive of weight, and both he and his opponent are more massive and three-dimensional figures. Because of these qualities, the group is closer to antique prototypes, both formally and spatially, than is the earlier version. In fact, Mezzetti convincingly compares our engraving with a Hellenistic statue of Hercules and Antaeus, a work which Mantegna could have seen in Rome, that displays a similar solidity and massiveness. For this reason Mezzetti dates the engraving near Mantegna's return from Rome in 1490. The dating of the composition to the post-Roman period is also supported by comparisons with the late grisaille panels, which were surely designed by Mantegna, although their execution is in dispute. The panel of David with the Head of Goliath is a particularly good comparison for the proportions of the figures, the musculature, strongly defined by shading and bright highlighting, the use of space, and even the type of hair found on Antaeus and Goliath. The Vestal Tuccia is especially close to the engraving in the type of drapery used. The manner of engraving, employing fine shading strokes within heavy outlines, is typical of the late school engravings and adds further support to a dating in the 1490s. As Hind has noted, the technique is most like Mantegna's own. The sharp demarcation between light and shadow in the modeling of the musculature is particularly close to the Battle of the Sea Gods, as is the style of the drapery.
There is a brush drawing related to our engraving in the British Museum. According to Popham and Pouncey, variations from the print indicate that the drawing is neither a copy nor a preparatory study but rather an independent work after Mantegna's original design. It could be by the draftsman of the Hercules and the Lion in Christ Church, who may be Giovanni Antonio da Brescia; on the other hand, it is no closer to Giovanni Antonio's signed engraving of Hercules and Antaeus (Hind 1) than it is to our own. In fact, the two prints do not appear to be independent; the relative carelessness of the background details in Giovanni Antonio's engraving suggest that it is a copy of ours. The idea of having Hercules and Antaeus face one another appears in other quattrocento works, most notably Pollaiuolo's statuette, which is surely independent. Mezzetti's suggestion that our engraving and another Hercules and Antaeus after Mantegna (Hind 19) represent opposite views of a sculptural prototype is reasonable, although the poses are in fact slightly different, and the engravings appear to be by different hands. In addition to its obvious significance as a mythological illustration, the theme of Hercules and Antaeus also has allegorical overtones. Hercules was regarded as an embodiment of virtue, strength, courage and compassion; Antaeus, the son of Ge, was thought to be a symbol of earthly lust, to be overcome by chastity. On an emblematic level, Mantegna's composition thus represents virtue defeating lust” (cfr. Jacquelyn L. Sheehan in Early Italian Engravings from the National Gallery of Art, pp. 218-221).
Magnifica prova, dell’unico stato, impressa su carta vergata coeva priva di filigrana, rifilata all’interno del rame, lievi interventi di restauro perfettamente eseguiti, nel complesso in buono stato di conservazione.
Come per molte incisioni del XV secolo, anche per le opere di Mantegna gli esemplari sono sempre rifilati e incompleti dell’impronta del rame.
Bibliografia
Hind 1938-48 / Early Italian Engraving, a critical catalogue (17); Bartsch / Le Peintre graveur (XIII.237.16); Jay A. Levinson, Konrad Oberhuber, and Jacquelyn Sheehan, Early Italian Engravings from the National Gallery of Art, n. 83; Suzanne Boorsch, Keith Christiansen, David Ekserdjian, Charles Hope, David Landau, Andrea Mantegna (1992), p. 300.
Primo Incisore (Attivo a Mantova tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo)
Suzanne Boorsch (cfr. Andrea Mantegna (1992), p. 300) raggruppa le migliori derivazioni a stampa da Andrea Mantegna e le assegna ad un maestro appartenente alla stretta cerchia mantegnesca, che la studiosa battezza "primo incisore" (premier engraver) per sottolinearne la fedeltà alla tecnica incisoria di Mantegna e la notevole abilità. Per l'identità storica di questo anonimo e dotatissimo incisore, i recenti ritrovamenti documentari, e le notizie già note, sembrano suggerire il nome dell'orafo e incisore Gian Marco Cavalli, impiegato come incisore da Mantegna già nel 1475 e rimasto a stretto contatto col maestro fino alla morte di questi, come prova la sua presenza alla redazione del testamento di Mantegna del 1506.
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Primo Incisore (Attivo a Mantova tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo)
Suzanne Boorsch (cfr. Andrea Mantegna (1992), p. 300) raggruppa le migliori derivazioni a stampa da Andrea Mantegna e le assegna ad un maestro appartenente alla stretta cerchia mantegnesca, che la studiosa battezza "primo incisore" (premier engraver) per sottolinearne la fedeltà alla tecnica incisoria di Mantegna e la notevole abilità. Per l'identità storica di questo anonimo e dotatissimo incisore, i recenti ritrovamenti documentari, e le notizie già note, sembrano suggerire il nome dell'orafo e incisore Gian Marco Cavalli, impiegato come incisore da Mantegna già nel 1475 e rimasto a stretto contatto col maestro fino alla morte di questi, come prova la sua presenza alla redazione del testamento di Mantegna del 1506.
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