La Furia
Riferimento: | S44221 |
Autore | Lucantonio degli Uberti |
Anno: | 1540 ca. |
Misure: | 225 x 310 mm |
Riferimento: | S44221 |
Autore | Lucantonio degli Uberti |
Anno: | 1540 ca. |
Misure: | 225 x 310 mm |
Descrizione
Xilografia, circa 1524/45, monogrammata in basso a sinistra. Derivazione, in controparte, dalla Furia (conosciuta anche come l’Anima dannata) di Michelangelo, un disegno a matita nera oggi conservato a Firenze [Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, inv. 601E].
L’opera non è censita in nessuno dei repertori sulle derivazioni a stampa da Michelangelo e in generale sembra essere sconosciuta alla vasta letteratura incisoria.
Il disegno La Furia di Michelangelo venne realizzato intorno al 1520/24 e donato dall’artista all’amico Gherardo Perini: “Nell'edizione delle Vite del 1550, Vasari segnala il fiorentino Gherardo Perini tra gli amici ai quali Michelangelo aveva regalato alcuni suoi disegni, precisati nel 1568 «in tre carte alcune teste di matita nera divine», all'epoca già confluite nella raccolta granducale di Francesco de' Medici, il quale «le tiene per gioie, come le sono» (Vasari, ed. 1966-1987, VI, 1987, p. 113). L'inventario mediceo compilato tra il 1560 e il 1567 – Gherardo era morto nel 1564, lo stesso anno di Michelangelo segna uno dopo l'altro la cosiddetta Zenobia, le Tre teste e «uno dové un viso quasiche di furia» (Archivio di Stato di Firenze, Guardaroba Medicea, 65, fol. 164a). I tre fogli originali sono oggi rispettivamente riconosciuti in 598E, 599E, 601E del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi” (cfr. Alessia Alberti, La Furia in “D’après Michelangelo”, p. 39).
L’interpretazione iconografica del volto urlante di Michelangelo è stata sempre complessa e problematica. Tuttavia, l’indicazione del Vasari che la inserisce in una serie di teste divine o imprecisate allegorie dantesche, sembra quella più indicata. La più tarda titolazione di Anima dannata è dovuta a Carlo Cesare Malvasia (1678) che definisce così una derivazione a stampa della scuola di Agostino Carracci. Il disegno della Furia conosce numerose derivazioni, tra le quali una matita rossa attribuita a Francesco Salviati (1510-1563), una pietra nera attribuita a Giorgio Vasari (1511-1574) e una a Alessandro Allori (1535-1607), altri 5 anonimi disegni databili tra la seconda metà del Cinquecento e l’inizio del Seicento, un dipinto attribuito a Pier Francesco Foschi (1502-1567), oggi conservato presso Casa Buonarroti a Firenze. Per una trattazione su disegni, dipinti e modelli si rimanda all’ampia scheda pubblicata in d’apres Michelangelo, opera citata in bibliografia.
Anche se priva di data, questa sconosciuta xilografia appare essere la prima derivazione in ordine cronologico del disegno, precedente alla Testa virile urlante, un bulino stampato a Roma da Antonio Salamanca (Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, inv. St. sc. 1328) che fino ad oggi era ritenuto tale e al HERACLITI EXCLAMATIO, un anonimo bulino fiammingo della seconda metà del ‘500 (Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi St. vol. 10165) noto per la sua ristampa curata da Paul de la Houve (1601) e probabilmente pubblicato per la prima volta dalla tipografia di Hieronymus Cook. La Furia venne utilizzata anche come modello per la testa di un disegno di Rosso Fiorentino, come vediamo nell’incisione Notomia secca o La Furia (circa 1524) di Giacomo Caraglio; tuttavia, il bulino di Caraglio non traduce fedelmente il disegno michelangiolesco.
L’intaglio è attribuibile al fiorentino Lucantonio degli Uberti (notizie 1503-1557). In basso a sinistra, infatti, è presente una firma, espressa attraverso un monogramma composto da una “L” e altre (due?) lettere intrecciate. Sebbene Lucantonio firmasse sempre in maniera diversa, la lettera “L” è ben messa in evidenza nei suoi monogrammi. La xilografia, poi, sembra essere uno dei legni di un chiaroscuro, tecnica nella quale erano veramente pochi gli interpreti all’epoca, e del quale Lucantonio è noto per il Sabba delle streghe (1516), una derivazione di un’opera di Hans Baldung Grien, che firma con il monogramma “La” posto all’interno di una tavolozza appesa ad un albero [Londra, British Museum, 1852,0612.105].
Attraverso un segno deciso e rapido, l’autore è in grado di farci percepire il dolore, la rabbia e la potenza delle emozioni, i moti dell’anima, il dolore e la disperazione. I contrasti creati intensificano il volto corrugato, i muscoli facciali tesi, le vene del collo rigonfie e gli occhi fissi e colmi di rabbia. Il pathos culmina con la folata di vento che smuove i capelli che incorniciano un volto segnato e fanno sollevare un lembo di tessuto alle sue spalle che crea una sorta di aureola. Con pochi segni riesce a trasmettere tutta la drammaticità espressa dal Maestro nel suo disegno, del quale costituisce la più fedele derivazione.
La xilografia è stampata su una carta – che non presenta filigrana – di spessore sottile e con vergelle molto strette. Il foglio si presenta con diversi restauri “antichi”; è applicato su un supporto cartaceo coevo, e presenta al recto una doppia linea di inquadramento (con tutta probabilità anche questa dell’epoca) ad inchiostro.
“Il primo riflesso della fortuna di questa invenzione di Michelangelo nelle stampe si può rinvenire, in un'epoca assai prossima a quella della sua realizzazione, nel bulino di Giacomo Caraglio oggi conosciuto come Furia. L'opera, individuata nel repertorio di Carl Heinrich von Heinecken come La Chimere, riferendosi evidentemente all'animale che offre un seggio per l'uomo (Heinecken, 1778-1790, 1, 1778, p. 532), è stata intitolata da Adam Bartsch (B. XV, 1813, PP. 92-93, n. 58) La Fureur, mentre negli studi più recenti si è guardato ad essa come parodia del Laocoonte, nel quadro del dibattito in corso a quel tempo sull’antitesi tra notomia e antico. Le circostanze attraverso cui l'artefice della composizione, Rosso Fiorentino, avrebbe fornito a Giacomo Caraglio il modello per l'incisione, ci sono raccontate da Vasari: «Capitando in Roma il Rosso, gli persuase il Baviera che facesse stampare alcuna delle cose sue; onde egli fece intagliare a Gian Iacopo del Caraglio veronese, che allora aveva bonissima mano e cercava con ogni industria d'imitare Marcantonio, una sua figura di notomia secca, che ha una testa di morte in mano siede sopra un serpente, mentre un cigno canta; la quale carta uscì di maniera, che il medesimo fece poi intagliare in carte di ragionevole grandezza alcuna delle forze d'Ercole (Vasari, ed. 1966-1987, v, 1984, p. 16). Questo ha permesso di circoscriverne l'esecuzione verso la fine del 1524, prima che il Rosso attendesse alle tavole per la serie sulle fatiche di Ercole, stilisticamente e tecnicamente più complesse. […] È un legame, quello della Furia del Rosso con il disegno di Michelangelo, evidenziato solo in tempi recenti (Hirst, 1988, p. 109; Mannerist Prints, 1988, p. 71, n. 17; Gilbert, 1992). Se è vero che restano sconosciute le dinamiche attraverso cui il Rosso può essere venuto così presto a conoscenza dell'originale fiorentino, donato da Michelangelo a Gherardo Perini, e soprattutto le ragioni di un uso tanto spregiudicato del volto, "montato" su una figura che intende con ogni evidenza citare il Laocoonte, dall'altra parte si può osservare che anche nei suoi lavori maggiori sono presenti citazioni delle "teste divine", come nel Matrimonio della Vergine in San Lorenzo del 1523.
Una più fedele traduzione grafica dell'idea di Michelangelo è offerta, qualche tempo dopo, dal bulino con la Testa virile urlante di Antonio Salamanca. L'incisione porta la sottoscrizione nella forma contratta «ANT.S.S.», sciolta da Francois Brulliot in avanti come «Antonio Salamanca Sculpsit» (Brulliot, 1832-1834, III, 1834, p. 17, n. 96). La sua esecuzione, potrebbe ragionevolmente situarsi tra gli anni Venti (dove però si registra nel 1527 un brusco azzeramento del mercato delle stampe) e il principio degli anni Quaranta (si è espresso a favore di una datazione vicina a quella dell'originale Paul Joannides in Michelangelo, 1996, p. 53, mentre in precedenza Paola Barocchi, Barocchi, 1962, 1, p. 237, e Anna Maria Forlani Tempesti, scheda in Raffaello e Michelangelo, 1984, p. 73, avevano indicato senza una precisa motivazione il 1562, coincidente con l'anno di morte di Salamanca).
Della responsabilità di Michelangelo quale inventor non fa cenno neppure la terza e ultima delle stampe derivate dalla Furia nel Cinquecento. Qui, come in Salamanca, il busto viene presentato come una scultura classica, ma nella sua interezza. Questo suggerisce diverse ipotesi: o dobbiamo semplicemente leggere questo rimando alla scultura come segno di un preciso potere evocativo che aveva quell'immagine presso l'uomo colto del Cinquecento, o a evocare il legame era la fama del suo autore, oppure essa certifica una fortuna plastica fino a qui altrimenti non documentata. L'opera, di tardo Cinquecento, è anonima e porta in un’edizione successiva alla prima (1601) l'indirizzo dell'editore Paul de la Houve (1575 ca.-1668). […] Questa interpretazione della Furia come ritratto del filosofo Eraclito, così secondo l'iscrizione posta sulla tabella: «HERACLITI EXCLAMATIO / Proh dolor, ah quantum in terris misera est hominum sors; / Quot nos æærumnæ, quot mala ubiq. grauant.»; si deve forse a Rudolph Weigel (Catalog, 1863) l'avere individuato per primo l'idea di Michelangelo dietro questa rappresentazione di Eraclito. Nonostante l'incisione individui l'effigie come un blocco scultoreo posato su un ripiano segnato dal tempo, si tratta della traduzione in stampa più fedele, sia per quanto riguarda l'energico e peculiare scatto all'indietro, sia per la luce proveniente dalla medesima fonte.
Un parziale riflesso dell'invenzione michelangiolesca è ravvisabile ancora, tra le stampe del Cinquecento, nel bulino con la Testa di Medusa già attribuito a Cornelis Cort, ora rigettato, databile all’ultimo quarto del Cinquecento.
Sempre ispirato alla Furia di Michelangelo è uno sgraziato bulino anonimo, di tardo Cinquecento, parte di una serie di maschere già assegnate ad Agostino Carracci e ora espunte dal suo catalogo delle incisioni (De Grazia, 1979, pp. 388- 389, n. R.19), probabilmente da mettere in relazione con un disegno di Agostino dal quale, dopo la sua morte (1602), è stato cavato il volto di un uomo che grida e piange con i capelli scompigliati (B. XVIII, 1818, p. 162, n. 27) per far parte della Scuola perfetta per imparare a disegnare tutto il corpo humano”. (cfr. Alessia Alberti, La Furia in “D’après Michelangelo”, pp. 39-59).
Nel 1810, l’architetto, decoratore e incisore italiano Agostino Gerli, stampa un chiaroscuro a tre legni della Furia. Gerli stesso dichiara di averlo desunto da una pittura, dunque il modello non doveva essere il disegno originale: “All'interpretazione scultorea e antiquaria della Furia michelangiolesca, riconduce anche l'incisione del 1810 di Agostino Gerli, intitolata Il dolore e la disperazione, che qui ci interessa per il suo destinatario, Giberto Borromeo, conservatore perpetuo dell'Ambrosiana, e per le indicazioni dello stesso Agostino che la dichiarano derivata da un disegno «cavato d'una pittura del celebre Michelangelo Bonaroti». La riduzione dell'apertura della bocca e la generale regolarizzazione dei tratti, compreso lo sguardo, portano verso la tradizione incisoria inaugurata da Salamanca e, presupponendo un disegno intermedio, alla versione dipinta attribuita a Foschi, oggi a Casa Buonarroti. Le parole di Agostino Gerli evidenziano una conoscenza approssimativa del prototipo michelangiolesco, ma documentano la fortuna che tale modello ha conosciuto negli ambienti accademici e collezionistici” (cfr. Alessia Alberti, La Furia in “D’après Michelangelo”, p. 44).
Un esemplare del chiaroscuro del Gerli è conservato a Milano presso l’Archivio di Stato (cart 91.2). Attraverso la scoperta di questa xilografia di Lucantonio degli Uberti, appare chiaro che il Gerli avesse di fronte un esemplare dell’opera, dalla quale copia fedelmente i segni; probabilmente era in possesso del chiaroscuro. Un attento confronto tra la nostra xilografia e l’opera del Gerli, esclude che questa sia stampata usando il legno originale; non compare, tra l’altro, il monogramma in basso a sinistra. Tuttavia, colpisce la maestria con la quale, un modesto incisore come Agostino Gerli, abbia saputo realizzare gli intagli in legno di una tecnica di stampa così complessa e difficile. La bibliografia ci ricorda che uno dei fratelli di Antonio nonché assiduo collaboratore, Carlo Giuseppe, “si distinse per la pubblicazione di una serie di incisioni tratte da disegni di Leonardo consistenti in copie di figure, caricature, macchine ecc.” (Disegni di Leonardo da Vinci, Giuseppe Galeazzi, Milano 1784).
Sulla base di quanto sostenuto da Alessia Alberti per il chiaroscuro di Gerli, dunque, si può sostenere che questa xilografia di Lucantonio degli Uberti inauguri la tradizione incisoria delle derivazioni della Furia michelangiolesca e, presupponendo un disegno intermedio derivi dalla versione dipinta attribuita a Pier Francesco Foschi, oggi a Casa Buonarroti.
Lucantonio degli Uberti, noto anche come Lucantonio Fiorentino, è un incisore, editore e tipografo di cui si hanno notizie intorno alla prima metà del Cinquecento; i limiti della sua attività non si possono stabilire con esattezza. Sappiamo per certo che Lucantonio fu un artista itinerante, il quale lavorò a Verona, Venezia, Firenze e verosimilmente anche a Milano e a Esztergom, in Ungheria. A Venezia era attivo, in primo luogo, nel campo dell’illustrazione libraria e teneva bottega a San Moisè: le sue xilografie, che secondo Essling presentano il monogramma in ben diciassette varianti, ornano molti volumi stampati presso i principali editori veneziani. Fu anche autore di un consistente nucleo di fogli sciolti. La sua produzione grafica è significativa anzitutto per la versatilità delle tecniche utilizzate: il bulino, la xilografia, il chiaroscuro. L’opera xilografica, in particolare, non è mai stata studiata in modo sistematico. Le stampe rispecchiano un gusto eclettico che attinge a molteplici fonti, fiorentine, veneziane e nordiche. Cristofano Robetta, Filippino Lippi, Albrecht Dürer, Marcantonio Raimondi, Hans Baldung Grien e Tiziano sono alcuni dei principali riferimenti stilistici e iconografici.
Le xilografie di Lucantonio non hanno uno stile uniforme ma rispecchiano quello dell’artista che traducono; il Combattimento tra uomini nudi (circa 1500) traduce lo stile dell’autore, Antonio Pollaiolo; il già citato Sabba delle streghe (1516) quello nordico di Hans Baldung Grien; il Trionfo di Cristo (1517 circa) quello veneziano di Tiziano Vecellio. La datazione di questa xilografia della Furia è collocabile tra il 1524 e il 1545, anno al quale viene fatta risalire La conversione di San Paolo di Lucantonio, una xilografia di derivazione da Tiziano, ultima opera in ordine cronologico assegnata all’artista.
Bibliografia
A. Alberti, A. Rovetta. C. Salsi, D’apres Michelangelo, Marsilio 2015; B. Barnes, Michelangelo in Print. Reproductions as Response in the Sixteenth Century, Farnham 2010; E. Borea, Stampe da modelli fiorentini nel Cinquecento, in “Il primato del disegno”, catalogo della mostra, Firenze 1980; F. Brulliot, Dictionnaire des monogrammes, marques figurées, lettres initiales, noms abregés, etc., 3 voll., Munich 1832-1834; D. De Grazia, Le stampe dei Carracci, Bologna 1984; Dillon, Michelangelo’ and the English Martyrs, Farnham 2012; Fortuna di Michelangelo nell’incisione, catalogo della mostra (Benevento, Museo del Sannio, 3 ottobre-3 dicembre 1964), a cura di M. Rotili, Benevento 1964; C.H. Heinecken, Dictionnaire des artistes, don’t nous avons de estampes, Leipzig 1778-1790; M. Hirst, J. Dunkerton, Michelangelo giovane pittore e scultore a Roma, 1496-1501, Modena 1997; C. Jenkins, Michelangelo at Fontainebleau, in «Print Quarterly», XXVIII, 3, 2011, pp. 261-265; Mannerist Prints. International Style in the Sixteenth Century, catalogo della mostra (Los Angeles County Museum of Art), a cura di B. Davis, Los Angeles 1988; Michelangelo. The Drawings of a Genius, catalogo della mostra (Vienna, Albertina, 8 ottobre 2010-9 gennaio 2011), a cura di A. Gnann, 2010; V. Pagani, Documents on Antonio Salamanca, in «Print Quarterly», XVII, 2, 2000, pp. 148-155; G. Vasari, La Vita di Michelangelo nelle redazioni del 1550 e del 1568, a cura e commento di P. Barocchi, 1962.
Lucantonio degli Uberti (notizie 1503-1557)
Lucantonio degli Uberti, noto anche come Lucantonio Fiorentino, è un incisore, editore e tipografo di cui si hanno notizie intorno alla prima metà del Cinquecento; i limiti della sua attività non si possono stabilire con esattezza. Sappiamo per certo che Lucantonio fu un artista itinerante, il quale lavorò a Verona, Venezia, Firenze e verosimilmente anche a Milano e a Esztergom, in Ungheria. A Venezia era attivo, in primo luogo, nel campo dell’illustrazione libraria e teneva bottega a San Moisè: le sue xilografie, che secondo Essling presentano il monogramma in ben diciassette varianti, ornano molti volumi stampati presso i principali editori veneziani. Fu anche autore di un consistente nucleo di fogli sciolti. La sua produzione grafica è significativa anzitutto per la versatilità delle tecniche utilizzate: il bulino, la xilografia, il chiaroscuro. L’opera xilografica, in particolare, non è mai stata studiata in modo sistematico. Le stampe rispecchiano un gusto eclettico che attinge a molteplici fonti, fiorentine, veneziane e nordiche. Cristofano Robetta, Filippino Lippi, Albrecht Dürer, Marcantonio Raimondi, Hans Baldung Grien e Tiziano sono alcuni dei principali riferimenti stilistici e iconografici.
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Lucantonio degli Uberti (notizie 1503-1557)
Lucantonio degli Uberti, noto anche come Lucantonio Fiorentino, è un incisore, editore e tipografo di cui si hanno notizie intorno alla prima metà del Cinquecento; i limiti della sua attività non si possono stabilire con esattezza. Sappiamo per certo che Lucantonio fu un artista itinerante, il quale lavorò a Verona, Venezia, Firenze e verosimilmente anche a Milano e a Esztergom, in Ungheria. A Venezia era attivo, in primo luogo, nel campo dell’illustrazione libraria e teneva bottega a San Moisè: le sue xilografie, che secondo Essling presentano il monogramma in ben diciassette varianti, ornano molti volumi stampati presso i principali editori veneziani. Fu anche autore di un consistente nucleo di fogli sciolti. La sua produzione grafica è significativa anzitutto per la versatilità delle tecniche utilizzate: il bulino, la xilografia, il chiaroscuro. L’opera xilografica, in particolare, non è mai stata studiata in modo sistematico. Le stampe rispecchiano un gusto eclettico che attinge a molteplici fonti, fiorentine, veneziane e nordiche. Cristofano Robetta, Filippino Lippi, Albrecht Dürer, Marcantonio Raimondi, Hans Baldung Grien e Tiziano sono alcuni dei principali riferimenti stilistici e iconografici.
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