Antonio e Cleopatra
Riferimento: | S37766 |
Autore | Giacinto GIMIGNANI |
Anno: | 1647 |
Misure: | 262 x 295 mm |
Riferimento: | S37766 |
Autore | Giacinto GIMIGNANI |
Anno: | 1647 |
Misure: | 262 x 295 mm |
Descrizione
Acquaforte, 1647, in basso a sinistra l’indirizzo editoriale 'Dom.co deRossi le Stampa in Roma alla Pace’, al centro ‘cum prius. Sum. Pontif’; a destra la firma dell’incisore ‘HYACINTVS GIMIGNANVS PISTORIENSIS PINVSCVLP.'. Quarto stato finale, con l’omissione della data 1647, l’indirizzo di De Rossi aggiunto e nel margine inferiore l’iscrizione latina “Cleopatra Poculum Amoris libat Antonio, ut praetiose biberet Unionem Regni Pretium impendit”.
Buon esemplare, impresso su carta vergata coeva, rifilato alla linea marginale, in ottimo stato di conservazione.
L’incisione è elencata nell’inventario dei beni di Gimignani redatto dopo la sua morte (1681), cfr Ursula Verena Fischer Pace, Giacinto Gimignani (1606-1681): Eine Studie zur römischen Malerei des Seicento, Freiburg 1973, p. 131.
Bibliografia
Bartsch XX.206.13; Bellini and Wallace in TIB 1990, 4505.023.S4; De Rossi Index, 1705, p. 77
|
Giacinto GIMIGNANI (Pistoia 1606-Roma 1681)
Giacinto Gimignani si presenta legato sin dalle prime prove artistiche ai due maggiori pittori attivi nella città pontificia nella prima metà del '600: Pietro da Cortona e Nicolas Poussin. Del primo, che fu il suo maestro, riprese il gusto per il mondo antico, l’amore per i soggetti storici descritti in chiave eroica, l’impostazione compositiva ampia e spaziosa, tendenze queste comuni ad altri pittori cortonesi, tra cui soprattutto Giovan Francesco Romanelli, al quale Giacinto fu così affine da essere spesso confuso.
L’interesse per il Poussin si limitò invece ad una più accesa gamma cromatica, dipendente anche dal movimento neo-veneto in voga a Roma intorno al 1625, alla ripresa puntuale di alcune tipologie delle figure, ma l’impianto classicheggiante delle composizioni lo Gimignani lo derivò soprattutto dal Domenichino, studiato a lungo negli affreschi romani. Le lunette in S. Carlo ai Catinari e i fregi a Palazzo Pamphilj, documentano questa cultura,cui si aggiungono elementi desunti da Andrea Sacchi, accanto al quale aveva dipinto nel 1640 la Visione di Costantino nel Battistero Lateranense. Dopo un viaggio a Firenze intorno agli anni ’50, in cui dipinge i quadri oggi nel Palazzo Rospigliosi di Pistoia e una tela per palazzo Vecchio, torna a Roma e vienne chiamato dal Bernini a lavorare insieme al Cortese e al giovane figlio Ludovico a Castelgandolfo (1660), ad Ariccia(1666) e in S. Lorenzo in Lucina.(1664).
Come incisore ci ha lasciato circa 27 acqueforti, disegnate con una punta netta e con contorni ben definiti, di un evidente impianto classicheggiante, anche se non mancano accenti pittoreschi negli sfondi e nella resa paesistica.
|
Bibliografia
Bartsch XX.206.13; Bellini and Wallace in TIB 1990, 4505.023.S4; De Rossi Index, 1705, p. 77
|
Giacinto GIMIGNANI (Pistoia 1606-Roma 1681)
Giacinto Gimignani si presenta legato sin dalle prime prove artistiche ai due maggiori pittori attivi nella città pontificia nella prima metà del '600: Pietro da Cortona e Nicolas Poussin. Del primo, che fu il suo maestro, riprese il gusto per il mondo antico, l’amore per i soggetti storici descritti in chiave eroica, l’impostazione compositiva ampia e spaziosa, tendenze queste comuni ad altri pittori cortonesi, tra cui soprattutto Giovan Francesco Romanelli, al quale Giacinto fu così affine da essere spesso confuso.
L’interesse per il Poussin si limitò invece ad una più accesa gamma cromatica, dipendente anche dal movimento neo-veneto in voga a Roma intorno al 1625, alla ripresa puntuale di alcune tipologie delle figure, ma l’impianto classicheggiante delle composizioni lo Gimignani lo derivò soprattutto dal Domenichino, studiato a lungo negli affreschi romani. Le lunette in S. Carlo ai Catinari e i fregi a Palazzo Pamphilj, documentano questa cultura,cui si aggiungono elementi desunti da Andrea Sacchi, accanto al quale aveva dipinto nel 1640 la Visione di Costantino nel Battistero Lateranense. Dopo un viaggio a Firenze intorno agli anni ’50, in cui dipinge i quadri oggi nel Palazzo Rospigliosi di Pistoia e una tela per palazzo Vecchio, torna a Roma e vienne chiamato dal Bernini a lavorare insieme al Cortese e al giovane figlio Ludovico a Castelgandolfo (1660), ad Ariccia(1666) e in S. Lorenzo in Lucina.(1664).
Come incisore ci ha lasciato circa 27 acqueforti, disegnate con una punta netta e con contorni ben definiti, di un evidente impianto classicheggiante, anche se non mancano accenti pittoreschi negli sfondi e nella resa paesistica.
|