Il ritorno del figlio prodigo
Riferimento: | S37776 |
Autore | Pietro TESTA detto "Il Lucchesino" |
Anno: | 1645 ca. |
Misure: | 300 x 203 mm |
Riferimento: | S37776 |
Autore | Pietro TESTA detto "Il Lucchesino" |
Anno: | 1645 ca. |
Misure: | 300 x 203 mm |
Descrizione
Acquaforte, 1645 circa, firmata nell'immagine nell'angolo in basso a sinistra: "PTesta. in: fec. Romae”. Primo stato.
Bella prova, impressa su carta vergata coeva, con filigrana “grappolo d’uva” (Gravell watermark archive, GRP 055.1), completa oltre la linea del rame, in ottimo stato di conservazione.
Questa incisione appartiene alla serie "Il figlio prodigo".
Le quattro scene di questa serie si basano sulla parabola del figliol prodigo narrata nel Vangelo di Luca 15:11-32. Come "Le scene della vita di Achille" (n. 118-22), riflette l'interesse di Testa per le serie narrative negli ultimi anni ’40.
Il contrasto tra le linee scure e ricche del primo piano e l'incisione più leggera dello sfondo è ancora più evidente in questa stampa rispetto alle altre della serie "Il figlio prodigo".
Questa è l'unica stampa della serie per la quale è sopravvissuto un disegno preparatorio. Il disegno, ora nella Galleria dell'Accademia di Venezia, è in controparte e ha quasi le stesse dimensioni della stampa. Le figure principali sono disegnate con contorni molto chiari, senza la modellatura interna che appare nell'incisione. I loro lineamenti e la muscolatura corrispondono alle figure di altri disegni di Testa della fine degli anni '40
È stata notata la relazione tra le incisioni di questo soggetto di Testa e Rembrandt, in cui un'analoga enfasi è posta nell'abbraccio intimo di padre e figlio mentre altri membri della famiglia scendono i gradini o guardano fuori da una finestra.
La vicenda artistica di Pietro Testa, detto il Lucchesino dalla sua città d’origine, è assai tormentata. Poco o nulla si sa del suo primo apprendistato nella città natale. Arrivato a Roma nel 1629, fu probabilmente dapprima a scuola presso il Domenichino, poi presso la bottega di Pietro da Cortona, suo vero maestro. Il carattere introverso dell’artista gli procurò comunque sempre difficoltà con i suoi colleghi: il Cortona infatti fu costretto a cacciarlo dalla sua scuola per l’atteggiamento di sprezzante superiorità assunta dall’allievo .
Il Testa frequentò allora la casa del suo primo mecenate, il celebre collezionista Cassiano del Pozzo, per il quale eseguì disegni dall’antico. Fu probabilmente nella sua casa che conobbe il pittore Nicolas Poussin, che influenzerà profondamente la sua arte sia nella sua prima fase di adesione tizianesca al movimento neo-veneto, sia nel periodo più maturo, a partire dagli anni 1635 in poi, caratterizzati da un intellettualismo classicheggiante.
Resta comunque il fatto che le sue incisioni (che ammontano a 40 tavole circa) furono considerate fin dall’antichità, a partire dal Sandrart e dal Baldinucci, le opere grafiche più importanti del '600 italiano.
Bibliografia
Bartsch, 8; Bellini 24; Cropper, 98
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Pietro TESTA detto "Il Lucchesino" (Lucca 1611 - Roma 1650)
La vicenda artistica di Pietro Testa, detto il Lucchesino dalla sua città d’origine, è assai tormentata. Poco o nulla si sa del suo primo apprendistato nella città natale. Arrivato a Roma nel 1629, fu probabilmente dapprima a scuola presso il Domenichino, poi presso la bottega di Pietro da Cortona, suo vero maestro. Il carattere introverso dell’artista gli procurò comunque sempre difficoltà con i suoi colleghi: il Cortona infatti fu costretto a cacciarlo dalla sua scuola per l’atteggiamento di sprezzante superiorità assunta dall’allievo .
Il Testa frequentò allora la casa del suo primo mecenate, il celebre collezionista Cassiano del Pozzo, per il quale eseguì disegni dall’antico. Fu probabilmente nella sua casa che conobbe il pittore Nicolas Poussin, che influenzerà profondamente la sua arte sia nella sua prima fase di adesione tizianesca al movimento neo-veneto, sia nel periodo più maturo, a partire dagli anni 1635 in poi, caratterizzati da un intellettualismo classicheggiante.
Resta comunque il fatto che le sue incisioni (che ammontano a 40 tavole circa) furono considerate fin dall’antichità, a partire dal Sandrart e dal Baldinucci, le opere grafiche più importanti del '600 italiano.
Nelle ultime incisioni l’artista illustra attraverso complesse simbologie a sfondo classicheggiante o mitologico la morale stoica che aveva adottato. Questa concezione pessimistica dell’esistenza e di un dramma cosmico che avvolge l’umanità giustifica la malinconia e la solitudine degli ultimi anni dell’artista, di cui parlano i biografi, e prelude al dramma finale del suicidio del Testa buttatosi nel Tevere nei pressi della Lungara nel 1650.
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Bibliografia
Bartsch, 8; Bellini 24; Cropper, 98
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Pietro TESTA detto "Il Lucchesino" (Lucca 1611 - Roma 1650)
La vicenda artistica di Pietro Testa, detto il Lucchesino dalla sua città d’origine, è assai tormentata. Poco o nulla si sa del suo primo apprendistato nella città natale. Arrivato a Roma nel 1629, fu probabilmente dapprima a scuola presso il Domenichino, poi presso la bottega di Pietro da Cortona, suo vero maestro. Il carattere introverso dell’artista gli procurò comunque sempre difficoltà con i suoi colleghi: il Cortona infatti fu costretto a cacciarlo dalla sua scuola per l’atteggiamento di sprezzante superiorità assunta dall’allievo .
Il Testa frequentò allora la casa del suo primo mecenate, il celebre collezionista Cassiano del Pozzo, per il quale eseguì disegni dall’antico. Fu probabilmente nella sua casa che conobbe il pittore Nicolas Poussin, che influenzerà profondamente la sua arte sia nella sua prima fase di adesione tizianesca al movimento neo-veneto, sia nel periodo più maturo, a partire dagli anni 1635 in poi, caratterizzati da un intellettualismo classicheggiante.
Resta comunque il fatto che le sue incisioni (che ammontano a 40 tavole circa) furono considerate fin dall’antichità, a partire dal Sandrart e dal Baldinucci, le opere grafiche più importanti del '600 italiano.
Nelle ultime incisioni l’artista illustra attraverso complesse simbologie a sfondo classicheggiante o mitologico la morale stoica che aveva adottato. Questa concezione pessimistica dell’esistenza e di un dramma cosmico che avvolge l’umanità giustifica la malinconia e la solitudine degli ultimi anni dell’artista, di cui parlano i biografi, e prelude al dramma finale del suicidio del Testa buttatosi nel Tevere nei pressi della Lungara nel 1650.
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