Prospetto della Città di Mantova dalla Parte del Borgo S. Giorgio e della Cittadella
Riferimento: | S20043 |
Autore | Carlo LASINIO |
Anno: | 1796 ca. |
Zona: | Mantova |
Luogo di Stampa: | Firenze |
Misure: | 465 x 375 mm |
Riferimento: | S20043 |
Autore | Carlo LASINIO |
Anno: | 1796 ca. |
Zona: | Mantova |
Luogo di Stampa: | Firenze |
Misure: | 465 x 375 mm |
Descrizione
Dalla descrizione di Daniela Ferrari in "Mantova nelle stampe": La carta presenta una visuale molto vasta e al tempo steso minuziosa e dettagliata. Illustra le fasi dell'assedio francese:in primo piano il generale Bonaparte riceve i parlamentari austriaci, compaiono poi le retroguardie e gli schieramenti delle truppe.
Sullo sfondo è raffigurata la città sottoposta ai cannoneggiamneti delle batterie francesi, disposte su zatteroni galleggianti e si vedono i borghi di S. Giorgio e di Porto con i rispettivi ponti; particolare curioso è il pallone aereostatico in alto a destra che avrebbe dovuto essere innalzato dai Francesi per dirigere le operazioni belliche.
L'opera deriva da un disegno dal vivo di Basilio Lasionio, inciso da Carlo Lasinio. Incisione in rame, in ottimo stato di conservazione. Molto rara.
Bibliografia
Ferrari, Mantova nelle stampe, p. 129, 128; Arrigoni Bertarelli 1934, p. 128.
|
Carlo LASINIO (Treviso 1759 - Pisa 1838)
Secondo quanto riferisce Federici, suo primo biografo, dopo aver studiato pittura all'Accademia di Venezia, si dedicò all'incisione, lavorando per breve tempo in patria. Verso il 1780 il Lasinio era già a Firenze, dove iniziò la sua fortunata carriera di incisore di riproduzione. Praticò tutte le tecniche tradizionali dell'incisione - bulino, acquaforte, maniera nera, incisione a contorno - e sperimentò con successo il rivoluzionario sistema di E. Dagoty-Le Blon, che prevedeva l'utilizzazione di lastre multiple inchiostrate con i colori rosso, giallo e azzurro che davano l'impressione dell'acquerello. Egli sperimentò a lungo tale tecnica - che già aveva interessato anche Bartolozzi - perfezionandola e combinandola con altre e ritoccando a mano col pennello alcune parti meno riuscite. Con questa tecnica, cromaticamente efficace, riprodusse la numerosa serie di acqueforti - più di 350 incisioni - degli autoritratti conservati agli Uffizi, Ritratti de' pittori esistenti nella Reale Galleria di Firenze…, pubblicata a partire dal 1789.
Per gli editori fiorentini Niccolò Pagni e Giuseppe Bardi, realizzò immagini documentarie relative all'assedio di Mantova da parte dell'armata francese. Ancora per Bardi e Pagni nel 1796 uscì la raccolta di Costumi dei contadini di Toscana, nella quale l'artista, autore delle prime undici tavole, utilizzò il sistema detto à poupée, una sorta di tampone per ciascun colore. Nel 1800 un ritratto di Ferdinando III gli valse la nomina a maestro d'intaglio della Reale Accademia di Firenze. Nel 1806, visitando il Camposanto di Pisa con Giovanni Rosini, titolare della stamperia "Società letteraria", rimase impressionato dallo stato di abbandono e degrado in cui versava il monumento. Nell'occasione Rosini, che conosceva la sua abilità di incisore, gli propose di ritrarre gli affreschi che ornavano le pareti del Camposanto per farne una pubblicazione.
L'opera fu avviata nel 1806, e nel dicembre del 1812 uscì la prima edizione, a cui, nel 1828, seguì la seconda. L'opera dal titolo "Pitture a fresco del Campo Santo di Pisa…", si compone di 40 tavole, che traducono in termini ormai preraffaelliti la sua riscoperta dei "primitivi" (Forlani, p. 8). L'anno successivo Maria Luigia di Borbone Spagna lo nominò conservatore del Camposanto di Pisa, carica che mantenne sino alla morte, con l'incarico di di sovrintendere al recupero, riordino e sistemazione delle opere dell'intero complesso, quindi alla trasformazione della raccolta in “museo pubblico” destinato alla memoria dell'arte e della cultura pisana.
|
Bibliografia
Ferrari, Mantova nelle stampe, p. 129, 128; Arrigoni Bertarelli 1934, p. 128.
|
Carlo LASINIO (Treviso 1759 - Pisa 1838)
Secondo quanto riferisce Federici, suo primo biografo, dopo aver studiato pittura all'Accademia di Venezia, si dedicò all'incisione, lavorando per breve tempo in patria. Verso il 1780 il Lasinio era già a Firenze, dove iniziò la sua fortunata carriera di incisore di riproduzione. Praticò tutte le tecniche tradizionali dell'incisione - bulino, acquaforte, maniera nera, incisione a contorno - e sperimentò con successo il rivoluzionario sistema di E. Dagoty-Le Blon, che prevedeva l'utilizzazione di lastre multiple inchiostrate con i colori rosso, giallo e azzurro che davano l'impressione dell'acquerello. Egli sperimentò a lungo tale tecnica - che già aveva interessato anche Bartolozzi - perfezionandola e combinandola con altre e ritoccando a mano col pennello alcune parti meno riuscite. Con questa tecnica, cromaticamente efficace, riprodusse la numerosa serie di acqueforti - più di 350 incisioni - degli autoritratti conservati agli Uffizi, Ritratti de' pittori esistenti nella Reale Galleria di Firenze…, pubblicata a partire dal 1789.
Per gli editori fiorentini Niccolò Pagni e Giuseppe Bardi, realizzò immagini documentarie relative all'assedio di Mantova da parte dell'armata francese. Ancora per Bardi e Pagni nel 1796 uscì la raccolta di Costumi dei contadini di Toscana, nella quale l'artista, autore delle prime undici tavole, utilizzò il sistema detto à poupée, una sorta di tampone per ciascun colore. Nel 1800 un ritratto di Ferdinando III gli valse la nomina a maestro d'intaglio della Reale Accademia di Firenze. Nel 1806, visitando il Camposanto di Pisa con Giovanni Rosini, titolare della stamperia "Società letteraria", rimase impressionato dallo stato di abbandono e degrado in cui versava il monumento. Nell'occasione Rosini, che conosceva la sua abilità di incisore, gli propose di ritrarre gli affreschi che ornavano le pareti del Camposanto per farne una pubblicazione.
L'opera fu avviata nel 1806, e nel dicembre del 1812 uscì la prima edizione, a cui, nel 1828, seguì la seconda. L'opera dal titolo "Pitture a fresco del Campo Santo di Pisa…", si compone di 40 tavole, che traducono in termini ormai preraffaelliti la sua riscoperta dei "primitivi" (Forlani, p. 8). L'anno successivo Maria Luigia di Borbone Spagna lo nominò conservatore del Camposanto di Pisa, carica che mantenne sino alla morte, con l'incarico di di sovrintendere al recupero, riordino e sistemazione delle opere dell'intero complesso, quindi alla trasformazione della raccolta in “museo pubblico” destinato alla memoria dell'arte e della cultura pisana.
|