Venere e Cupido
Riferimento: | S32503 |
Autore | Agostino De MUSI detto "Agostino Veneziano" |
Anno: | 1530 ca. |
Misure: | 170 x 237 mm |
Riferimento: | S32503 |
Autore | Agostino De MUSI detto "Agostino Veneziano" |
Anno: | 1530 ca. |
Misure: | 170 x 237 mm |
Descrizione
Venere siede sul bordo di uno sperone roccioso; con la mano sinistra afferra il volto di Amore, che tiene con entrambe le mani una torcia accesa.
Bulino, 1530-32 circa, privo di firma e indicazioni editoriali.
L’opera è ritenuta da Bartsch creazione di Giulio Pippi de' Jannuzzi, detto Giulio Romano (1492-1546), incisa da Agostino Veneziano; Armano, invece, indica il Raimondi quale incisore della lastra. Risale al periodo mantovano di Agostino, dove si ispirava ai soggetti di Giulio Romano.
Agostino de Musi, detto Agostino Veneziano, nacque in Veneto, forse a Venezia, intorno al 1490, periodo fissato approssimativamente dagli studiosi in base alle date più antiche incise su alcune stampe. Si recò a Roma nel 1515/16, dove entrò in rapporto con Marcantonio Raimondi, divenendone, insieme a Marco Dente, uno dei principali alfieri e poi collaboratori nella "ditta" Raimondi, la prima vera e propria impresa artistico-commerciale impegnata nella riproduzione di soggetti raffaelleschi. Ad un periodo, fino al 1520, di intensa attività della bottega di Marcantonio seguirono probabilmente anni più difficili dovuti alla morte di Raffaello nel 1520 e all'imprigionamento dello stesso Raimondi intorno al 1523-24 per aver inciso alcuni soggetti lascivi.
Il sacco di Roma del 1527 spinse il De Musi a lasciare la città, verso Mantova, attratto da Giulio Romano. La collaborazione con Giulio coincide con un periodo caratterizzato da alti risultati artistici e da un'intensa produzione, risalente agli anni 1530-1532. Queste incisioni rivelano una particolare attenzione verso ricerche di carattere luministico, già presenti forse nei disegni di Giulio Romano, e spesso sottolineate dall'introduzione di sorgenti di luce artificiale che rendono più evidenti i contrasti.
La produzione incisoria di Agostino è assai vasta e consistente numericamente, soprattutto se rapportata al breve arco di tempo in cui fu realizzata, all'incirca tra il 1514 e il 1536. Alle 139 incisioni riportate dal Bartsch sono da aggiungere le nuove 4 citate dal Passavant e le 8 riportate dallo Heinecken: si tratta di bulini tutti firmati o contrassegnati dal monogramma, a volte costituito da lettere normali, a volte da caratteri gotici; a queste opere sono da aggiungere anche un gruppo di circa 60 bulini anonimi di probabile o dubbia attribuzione.
Magnifica prova, ricca di toni, impressa su carta vergata coeva, rifilata alla linea marginale, sporadiche fioriture visibili sul verso, per il resto in ottimo stato di conservazione.
Due timbri di collezione al verso: uno della collezione Johann Melchior von Birckenstock (Lugt 345), ed un altro non leggibile.
Bibliografia
Le Blanc C., Manuel De L'amateur D'estampes, 44, V 0003 p 00075, 1854-59; AAVV, The Illustrated Bartsch, 318, V 0026 p 00320, 1978-1983; Donata Minonzio, DE MUSI (Di Musi, De Musis, Musi), Agostino, detto Agostino Veneziano in “Dizionario Biografico degli Italiani” - Volume 38 (1990).
Agostino De MUSI detto "Agostino Veneziano" (Venezia 1490 circa - Roma dopo il 1536)
Agostino de Musi, detto Agostino Veneziano, nacque in Veneto, forse a Venezia, intorno al 1490, periodo fissato approssimativamente dagli studiosi in base alle date più antiche incise su alcune stampe: il 1516 in Gesù discende al Limbo (Le Blanc, III, n. 19), il 1514 in L'astrologo [Bartsch, XIV, n. 411) e L'Ultima Cena (B., n. 25). Scarsissime, frammentarie e imprecise sono le notizie pervenuteci sul De Musi; oggi gli unici dati per ricostruire, anche se per sommi capi, una biografia del De Musi sono quelli che si ricavano dalle sue incisioni, che generalmente contrassegnò le sue stampe con il monogramma "A. V." (Agostino Veneziano), inerente al nome e al luogo di nascita, il Veneto. Fino al 1515 il De Musi rimase nel Veneto, forse a Venezia, dove ricevette la sua prima formazione artistica, prendendo come modello G. Campagnola e A. Dürer. Nel 1515 si trasferì a Firenze, secondo quanto è documentato da quattro incisioni recanti questa data e derivate da soggetti di Baccio Bandinelli (Diogene, B. 197, L'uomo seduto presso un libro, B. 454, Apollo e Dafne, B. 317, Cleopatra, B. 193). Breve deve essere stato il soggiorno fiorentino, forse solo una tappa di un viaggio intrapreso verso Roma, dove entrò in rapporto con Marcantonio Raimondi, divenendone, insieme a Marco Dente, uno dei principali alfieri e poi collaboratori nella "ditta" Raimondi, la prima vera e propria impresa artistico-commerciale impegnata nella riproduzione di soggetti raffaelleschi. Ad un periodo, fino al 1520, di intensa attività della bottega di Marcantonio seguirono probabilmente anni più difficili dovuti alla morte di Raffaello nel 1520 e all'imprigionamento dello stesso Raimondi intorno al 1523-24 per aver inciso alcuni soggetti lascivi. Le incisioni rivelano solo un certo rallentamento della produzione e talvolta uno scadimento qualitativo. Il sacco di Roma del 1527 spinse il De Musi a lasciare la città, verso Mantova, attratto da Giulio Romano. In seguito, probabilmente, il De Musi fece ritorno a Roma, ove sembra si svolse la sua ultima attività, ma difficile è stabilire con esattezza l'anno di questo spostamento. L'ultima data che compare sulle sue opere è il 1536, e tra il 1536 e il 1540 viene generalmente fissata la sua morte. La produzione incisoria del De Musi è assai vasta e consistente numericamente, soprattutto se rapportata al breve arco di tempo in cui fu realizzata, all'incirca tra il 1514 e il 1536. Alle 139 incisioni riportate dal Bartsch sono da aggiungere le nuove 4 citate dal Passavant e le 8 riportate dallo Heinecken: si tratta di bulini tutti firmati o contrassegnati dal monogramma, a volte costituito da lettere normali, a volte da caratteri gotici; a queste opere sono da aggiungere anche un gruppo di circa 60 bulini anonimi di probabile o dubbia attribuzione e 52 tavole e il frontespizio del volume Inlustrium virorum ut extant in Urbe..., Roma 1569.
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Agostino De MUSI detto "Agostino Veneziano" (Venezia 1490 circa - Roma dopo il 1536)
Agostino de Musi, detto Agostino Veneziano, nacque in Veneto, forse a Venezia, intorno al 1490, periodo fissato approssimativamente dagli studiosi in base alle date più antiche incise su alcune stampe: il 1516 in Gesù discende al Limbo (Le Blanc, III, n. 19), il 1514 in L'astrologo [Bartsch, XIV, n. 411) e L'Ultima Cena (B., n. 25). Scarsissime, frammentarie e imprecise sono le notizie pervenuteci sul De Musi; oggi gli unici dati per ricostruire, anche se per sommi capi, una biografia del De Musi sono quelli che si ricavano dalle sue incisioni, che generalmente contrassegnò le sue stampe con il monogramma "A. V." (Agostino Veneziano), inerente al nome e al luogo di nascita, il Veneto. Fino al 1515 il De Musi rimase nel Veneto, forse a Venezia, dove ricevette la sua prima formazione artistica, prendendo come modello G. Campagnola e A. Dürer. Nel 1515 si trasferì a Firenze, secondo quanto è documentato da quattro incisioni recanti questa data e derivate da soggetti di Baccio Bandinelli (Diogene, B. 197, L'uomo seduto presso un libro, B. 454, Apollo e Dafne, B. 317, Cleopatra, B. 193). Breve deve essere stato il soggiorno fiorentino, forse solo una tappa di un viaggio intrapreso verso Roma, dove entrò in rapporto con Marcantonio Raimondi, divenendone, insieme a Marco Dente, uno dei principali alfieri e poi collaboratori nella "ditta" Raimondi, la prima vera e propria impresa artistico-commerciale impegnata nella riproduzione di soggetti raffaelleschi. Ad un periodo, fino al 1520, di intensa attività della bottega di Marcantonio seguirono probabilmente anni più difficili dovuti alla morte di Raffaello nel 1520 e all'imprigionamento dello stesso Raimondi intorno al 1523-24 per aver inciso alcuni soggetti lascivi. Le incisioni rivelano solo un certo rallentamento della produzione e talvolta uno scadimento qualitativo. Il sacco di Roma del 1527 spinse il De Musi a lasciare la città, verso Mantova, attratto da Giulio Romano. In seguito, probabilmente, il De Musi fece ritorno a Roma, ove sembra si svolse la sua ultima attività, ma difficile è stabilire con esattezza l'anno di questo spostamento. L'ultima data che compare sulle sue opere è il 1536, e tra il 1536 e il 1540 viene generalmente fissata la sua morte. La produzione incisoria del De Musi è assai vasta e consistente numericamente, soprattutto se rapportata al breve arco di tempo in cui fu realizzata, all'incirca tra il 1514 e il 1536. Alle 139 incisioni riportate dal Bartsch sono da aggiungere le nuove 4 citate dal Passavant e le 8 riportate dallo Heinecken: si tratta di bulini tutti firmati o contrassegnati dal monogramma, a volte costituito da lettere normali, a volte da caratteri gotici; a queste opere sono da aggiungere anche un gruppo di circa 60 bulini anonimi di probabile o dubbia attribuzione e 52 tavole e il frontespizio del volume Inlustrium virorum ut extant in Urbe..., Roma 1569.
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