Ornamenti del Passato Tempio nela parte interiore
Riferimento: | S45242 |
Autore | Antonio LABACCO |
Anno: | 1552 ca. |
Luogo di Stampa: | Roma |
Misure: | 220 x 300 mm |
Riferimento: | S45242 |
Autore | Antonio LABACCO |
Anno: | 1552 ca. |
Luogo di Stampa: | Roma |
Misure: | 220 x 300 mm |
Descrizione
Tavola tratta dal Libro D'Antonio Labacco Appartenente A L'Architettura, Nel Qual Si Figurano Alcuni Notabili Antiquita Di Roma di Antonio Labacco, stampato per la prima volta nel 1552.
Il Libro D'Antonio Labacco Appartenente A L'Architettura è un'opera importante per lo studio dell'architettura classica e uno dei primi trattati di architettura illustrati con lastre di rame, al posto delle xilografie e del testo a stampa. L'autore trovò il mezzo dell'incisione su rame di gran lunga superiore alla tradizionale immagine xilografica, consentendo una maggiore precisione e realismo. Questo libro presenta belle e accurate ricostruzioni di antichi monumenti romani come l'Arco e il Foro di Traiano, il Tempio di Castore e Polluce, il Mausoleo di Adriano (oggi noto come Castel Sant'Angelo), il Porto di Traiano e diversi templi senza nome, sulla base di descrizioni ricavate da testi classici e dall'ispezione delle loro rovine.
Labacco (1495-1567?), architetto italiano e frequente collaboratore di Antonio da Sangallo il Giovane in progetti come la Basilica di San Pietro, verso la fine del pontificato di Paolo III (1549), decise di pubblicare le sue Antiquità e ottenne dal pontefice il privilegio per la pubblicazione.
Nel 1552 fu edito il Libro appartenente a l'architettura nel qual si figurano alcune notabili antiquità di Roma, "Impresso in Roma in casa nostra". Nell'introduzione "alli Lettori" il Labacco comunicava di essere "stato più volte persuaso da Mario", suo figlio, che "fusse bene" mettere parte delle stampe "in luce" offrendosi egli stesso "infin all'intagliar parte d'esse". Mario avrebbe quindi inciso parte dei disegni del Labacco e ciò è plausibile visto che esercitava il mestiere di intagliatore in rame.
Vasari, parlandone nella vita di Marcantonio Bolognese, dice che "Antonio Abbaco ha mandato fuori con bella maniera tutte le cose di Roma antiche e notabili, con le lor misure, fatte con intaglio sottile, e molto ben condotte". Non si conoscono esemplari antecedenti, ma di certo numerose copie furono in circolazione molto prima, soprattutto a seguito del privilegio già concessogli quasi sicuramente nel 1547 da Paolo III. Il Libro, contenente la riproduzione in incisione di alcuni monumenti di Roma antica impiegando i diversi sistemi di rappresentazione (piante, prospetti e sezioni), ebbe molta fortuna e fu più volte ristampato (nel 1557 la seconda edizione; nel 1559 la terza; poi ancora negli anni 1568-70), non sempre con cura e precisione, anche dopo l'ultimo privilegio concesso da Paolo IV.
Labacco abitava nel rione Campo Marzio; la sua ultima residenza fu però nel rione Ponte dove abitava già dal 26 luglio 1539, presso la parrocchia di S. Salvatore "in Banchi". Fra l'altro risulta che proprio qui egli avesse impiantato la stamperia per le "impressure" delle tavole del Libro.
Acquaforte e bulino, impressa su carta vergata priva di filigrana, con margini, in ottimo stato di conservazione.
Bibliografia
T. Ashby, Il libro d'Antonio Labacco appartenente all'architettura, in “La Bibliofilia”, 16 (1914), pp. 289-309; Flavia Colonna – Antonio Labacco, in “Dizionario Biografico degli Italiani” - Volume 62 (2004).
Antonio LABACCO (Vercelli, 1495 – Roma, 1570)
Architetto italiano anche noto come dell'Abacco, L'Abacco, Labàco, Abbaco e Abacco. Nacque a Vercelli, probabilmente intorno al 1495. La formazione del Labacco iniziò, non ancora ventenne, presso Donato Bramante; ne danno testimonianza alcuni disegni conservati agli Uffizi, databili al tempo di Giulio II. Successivamente lavorò nello studio di Antonio da Sangallo il Giovane, che il Labacco ricorda come suo maestro e con il quale collaborò in qualità di disegnatore per alcuni progetti, fra cui quello di S. Maria di Monserrato (1518-20), di S. Giovanni dei Fiorentini (1518-19) e nel rilievo di diversi edifici antichi. Il L. acquisì quindi abilità nel rilievo e nel disegno e anche competenze come maestro di legname. Queste sue capacità fecero decidere al Sangallo di portarlo con sé, quando nella primavera del 1526 Clemente VII lo invitò, con Giuliano Leno, Pierfrancesco da Viterbo e Michele Sanmicheli, a verificare lo stato delle rocche di Romagna e a provvedere alle fortificazioni di Parma e Piacenza. Nonostante sembri non essere un architetto progettista di opere autonome, il L. doveva possedere una notevole pratica professionale quando intraprese il lavoro del modello ligneo della basilica di S. Pietro del progetto elaborato da Antonio da Sangallo il Giovane per conto di Paolo III. Al 1542 risale la fondazione della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon. Accanto al nome di Antonio da Sangallo (primo presidente) e a quello di altri rappresentanti del mondo artistico dell'epoca, compare quello del L., che fu il primo a ricoprire il ruolo di segretario. Tra il 6 e il 30 maggio 1544 egli fu ancora impegnato in diversi lavori eseguiti per la Fabbrica di S. Pietro. Il 30 nov. 1546, a quattro mesi dalla morte di Antonio da Sangallo, il L. venne licenziato da Michelangelo. Il grande modello, costato a lui e ai suoi aiutanti sette anni di fatiche e alle casse della congregazione della Fabbrica oltre 4500 scudi, era ormai completato ma divenne inutile, deprecato perché costoso e fatto oggetto di irrisione per i caratteri della sua architettura. A ricordo del progetto del Sangallo, i principali disegni, che dovevano essere serviti per approntarlo - la pianta, la sezione longitudinale, il prospetto laterale, la facciata -, furono tradotti in grandi e accurate incisioni, stampate negli anni 1548-49. Inserite nello Speculum Romanae magnificentiae con dedica a Paolo III erano riprodotte, in scala, in proiezioni ortogonali. Il L. compariva come "effector", cioè presumibilmente autore dei disegni, e forse delle matrici su rame che Antonio Salamanca "excudebat", come editore, stampatore e probabile venditore. Dopo l'allontanamento dalla Fabbrica di S. Pietro, i contatti con Salamanca lo arricchirono probabilmente di esperienza nel campo della stampa di disegni.
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Antonio LABACCO (Vercelli, 1495 – Roma, 1570)
Architetto italiano anche noto come dell'Abacco, L'Abacco, Labàco, Abbaco e Abacco. Nacque a Vercelli, probabilmente intorno al 1495. La formazione del Labacco iniziò, non ancora ventenne, presso Donato Bramante; ne danno testimonianza alcuni disegni conservati agli Uffizi, databili al tempo di Giulio II. Successivamente lavorò nello studio di Antonio da Sangallo il Giovane, che il Labacco ricorda come suo maestro e con il quale collaborò in qualità di disegnatore per alcuni progetti, fra cui quello di S. Maria di Monserrato (1518-20), di S. Giovanni dei Fiorentini (1518-19) e nel rilievo di diversi edifici antichi. Il L. acquisì quindi abilità nel rilievo e nel disegno e anche competenze come maestro di legname. Queste sue capacità fecero decidere al Sangallo di portarlo con sé, quando nella primavera del 1526 Clemente VII lo invitò, con Giuliano Leno, Pierfrancesco da Viterbo e Michele Sanmicheli, a verificare lo stato delle rocche di Romagna e a provvedere alle fortificazioni di Parma e Piacenza. Nonostante sembri non essere un architetto progettista di opere autonome, il L. doveva possedere una notevole pratica professionale quando intraprese il lavoro del modello ligneo della basilica di S. Pietro del progetto elaborato da Antonio da Sangallo il Giovane per conto di Paolo III. Al 1542 risale la fondazione della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon. Accanto al nome di Antonio da Sangallo (primo presidente) e a quello di altri rappresentanti del mondo artistico dell'epoca, compare quello del L., che fu il primo a ricoprire il ruolo di segretario. Tra il 6 e il 30 maggio 1544 egli fu ancora impegnato in diversi lavori eseguiti per la Fabbrica di S. Pietro. Il 30 nov. 1546, a quattro mesi dalla morte di Antonio da Sangallo, il L. venne licenziato da Michelangelo. Il grande modello, costato a lui e ai suoi aiutanti sette anni di fatiche e alle casse della congregazione della Fabbrica oltre 4500 scudi, era ormai completato ma divenne inutile, deprecato perché costoso e fatto oggetto di irrisione per i caratteri della sua architettura. A ricordo del progetto del Sangallo, i principali disegni, che dovevano essere serviti per approntarlo - la pianta, la sezione longitudinale, il prospetto laterale, la facciata -, furono tradotti in grandi e accurate incisioni, stampate negli anni 1548-49. Inserite nello Speculum Romanae magnificentiae con dedica a Paolo III erano riprodotte, in scala, in proiezioni ortogonali. Il L. compariva come "effector", cioè presumibilmente autore dei disegni, e forse delle matrici su rame che Antonio Salamanca "excudebat", come editore, stampatore e probabile venditore. Dopo l'allontanamento dalla Fabbrica di S. Pietro, i contatti con Salamanca lo arricchirono probabilmente di esperienza nel campo della stampa di disegni.
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