Colosseo
Riferimento: | S40261.13 |
Autore | Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO |
Anno: | 1550 ca. |
Zona: | Colosseo |
Misure: | 530 x 365 mm |
Riferimento: | S40261.13 |
Autore | Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO |
Anno: | 1550 ca. |
Zona: | Colosseo |
Misure: | 530 x 365 mm |
Descrizione
Spaccato del Colosseo, ricostruzione.
Bulino, privo di data e firma.
Iscritto in alto al centro: «THEATRVM SIVE COLISEVM ROMANVM», in basso al centro: «Nicolai van Aelst Bruxellensis formis Romae».
La lastra, tagliata nel soggetto e con numerose abrasioni di iscrizioni ancora visibili, ci lasca credere che sia la ristampa di una matrice più antica, forse dell’originale probabilmente inciso da Beatrizet edito da Lafreri, leggermente ridotta nel formato – forse poiché rovinata - e al quale viene aggiunto il titolo «THEATRVM SIVE COLISEVM ROMANVM».
Questo il primo stato della lastra
https://www.antiquarius.it/it/lafreri-speculum-romanae-magnificentiae/13915-colosseo.html
La tiratura Van Aelst non descritta né da Rubach né da Alberti. Rubach descrive tre stati dell’opera; dopo la morte del Lafreri la lastra venne ereditata da Stefano Duchetti e quindi venduta all’editore Paolo Graziani (1585) che nel 1586 si unì a Pietro de Nobili. Proprio del De Nobili è nota una seconda ristampa della lastra. In seguito, la matrice vene acquistata da Marcello Clodio, che la ristampa (circa 1589). Probabilmente Nicolas van Aelst venne in possesso della lastra; all’edizione di van Aelst seguì quella di Giacomo De Rossi, verso la metà del XVII secolo.
Secondo Silvia Bianchi “La tavola è copia nello stesso verso di quella attribuita a Nicolas Béatrizet e reca in alto a sinistra un’iscrizione su tre righe con il titolo […] l’indirizzo di Giovanni Giacomo De Rossi alla Pace all’insegna di Parigi (non noto a Hülsen) sostituisce il precedente indirizzo di Nicolas Van Aelst, abraso
La filigrana del nostro esemplare “giglio nel cerchio con lettera C” ci indica che la tiratura è riconducibile al primo trentennio del XVII secolo. Secondo questa nostra ricostruzione storica, dunque, si tratterebbe del quarto stato di cinque dell’opera.
Ricostruzione del Colosseo in sezione e proiezione orizzontale. L’incisione deriva da quella pubblicata per i tipi di Antonio Salamanca nel 1538, probabilmente su disegno di Domenico Giuntalodi e incisione di Girolamo Fagiuoli. Molto richiesta, la stampa fu poi riedita in formato più ridotto da Antonio Lafréry, con probabile intaglio di Nicolas Beatrizet. L’edificio sorse sul luogo dello stagno artificiale che era ai piedi della Domus Aurea. I lavori sotto l’imperatore Vespasiano arrivarono sino al terzo ordine e furono completati dal figlio Tito, che nell’anno 80 d.C. ordinò una seconda spettacolare inaugurazione protrattasi per cento giorni nei quali furono uccise circa 5000 fiere. Una curiosa nota su riti di negromanzia che nel Cinquecento si svolgevano nel Colosseo viene da Benvenuto Cellini: «Andaticene al Culiseo, quivi paratosi il prete a uso di negromante, si mise a disegnare i circuli in terra con le più belle cirimonie che immaginar si possa al mondo; e ci aveva fatto portare profummi preziosi e fuoco, ancora profummi cattivi. Come e’ fu in ordine, fece la porta al circulo; e presoci per mano, a uno a uno ci messe drento al circulo; di poi compartì gli uffizii; detta il pintàculo in mano a quell’altro suo compagno negromante, agli altri dette la cura del fuoco per e’ profummi; poi messe mano agli scongiuri. Durò questa cosa più d’una ora e mezzo; comparse parecchi legione, di modo che il Culiseo era tutto pieno. Io che attendevo ai profummi preziosi, quando il prete cognobbe esservi tanta quantità, si volse a me e disse: “Benvenuto, dimanda lor qual cosa”. Io dissi che facessino che io fussi con la mia Angelica siciliana. Per quella notte noi non avemmo risposta nessuna; ma io ebbi bene grandissima satisfazione di quel che io desideravo di tal cosa».
L’opera appartiene allo Speculum Romanae Magnificentiae, la prima iconografia della Roma antica.
Lo Speculum ebbe origine nelle attività editoriali di Antonio Salamanca e Antonio Lafreri (Lafrery). Durante la loro carriera editoriale romana, i due editori - che hanno lavorato insieme tra il 1553 e il 1563 - hanno avviato la produzione di stampe di architettura, statuaria e vedutistica della città legate alla Roma antica e moderna. Le stampe potevano essere acquistate individualmente da turisti e collezionisti, ma venivano anche acquistate in gruppi più grandi che erano spesso legati insieme in un album. Nel 1573, Lafreri commissionò a questo scopo un frontespizio, dove compare per la prima volta il titolo Speculum Romanae Magnificentiae. Alla morte di Lafreri, due terzi delle lastre di rame esistenti andarono alla famiglia Duchetti (Claudio e Stefano), mentre un altro terzo fu distribuito tra diversi editori. Claudio Duchetti continuò l’attività editoriale, implementando le lastre dello Speculum con copie di quelle “perdute” nella divisione ereditaria, che fece incidere al milanese Amborgio Brambilla. Alla morte di Claudio (1585) le lastre furono cedute – dopo un breve periodo di pubblicazione degli eredi, in particolare nella figura di Giacomo Gherardi - a Giovanni Orlandi, che nel 1614 vendette la sua tipografia al fiammingo Hendrick van Schoel. Stefano Duchetti, al contrario, cedette le proprie matrici all’editore Paolo Graziani, che si associò con Pietro de Nobili; il fondo confluì nella tipografia De Rossi passando per le mani di editori come Marcello Clodio, Claudio Arbotti e Giovan Battista de Cavalleris. Il restante terzo di matrici della divisione Lafreri fu suddiviso e scisso tra diversi editori, in parte anche francesi: curioso vedere come alcune tavole vengano ristampate a Parigi da Francois Jollain alla metà del XVII secolo. Diverso percorso ebbero alcune lastre stampate da Antonio Salamanca nel suo primo periodo; attraverso il figlio Francesco, confluirono nella tipografia romana di Nicolas van Aelst. Altri editori che contribuirono allo Speculum furono i fratelli Michele e Francesco Tramezzino (autori di numerose lastre che confluirono in parte nella tipografia Lafreri), Tommaso Barlacchi, e Mario Cartaro, che fu l’esecutore testamentario del Lafreri, e stampò alcune lastre di derivazione. Per l’intaglio dei rami vennero chiamati a Roma e impiegati tutti i migliori incisori dell’epoca quali Nicola Beatrizet (Beatricetto), Enea Vico, Etienne Duperac, Ambrogio Brambilla e altri ancora.
Questo marasma e intreccio di editori, incisori e mercanti, il proliferare di botteghe calcografiche ed artigiani ha contribuito a creare il mito dello Speculum Romanae Magnificentiae, la più antica e importante iconografia della città eterna. Il primo studioso che ha cercato di analizzare sistematicamente la produzione a stampa delle tipografie romane del XVI secolo è stato Christian Hülsen, con il suo Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri del 1921. In epoca più recente, molto importanti sono stati gli studi di Peter Parshall (2006) Alessia Alberti (2010), Birte Rubach e Clemente Marigliani (2016). Le nostre schede sono elaborazioni ispirate principalmente da queste quattro pubblicazioni, integrate da commenti e correzioni per quanto non ci convince e ci è noto.
Bellissima prova, impressa su carta vergata con filigrana “giglio nel cerchio con lettera C” con margini coevi, in ottimo stato di conservazione.
Bibliografia
cfr. B. Rubach, Ant. Lafreri Formis Romae (2016), n. 275; cfr. A. Alberti, L’indice di Antonio Lafrery (2010), n. A111a; Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento (2016), nn. II.42, II.7; C. Hülsen, 1921, pp. 145-46, 18, C; C. Falcucci, 1994, t. 40; Bianchi 2004-IV, S. 9, n. D 32.
Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO Thionville 1515 circa - Roma 1565
Nicola o Niccolò Beatricetto o Beatrice o Beatici o Beatricius o Nicolas Beatrizet Lotharingus secondo il nome originale dell’incisore nativo nel 1515 c. in Francia a Thionville nella Lorena di cui inciderà la pianta nel 1557-58. Disegnatore e bulinista, Nicola è a Roma dal 1540, o già dal 1532 come supposto dal Gori Gandellini, dove frequenta la scuola di Marcantonio e Agostino Veneziano. Il Beatricetto si dimostra subito abile nel giusto equilibrio delle linee e dei punti e nella resa delle ombre e dei mezzi toni, tanto da divenire il capo degli incisori stranieri e dei vedutisti romani. Influenzato da Agostino Veneziano e da Giorgio Ghisi, il Beatricetto sceglie i suoi modelli in Raffaello e Michelangelo. Dal 1540 il lorenese lavora per Salamanca e dal 1541 fino al 1550 per Tommaso Barlacchi e dal 1548 per Antonio Lafrery che inserirà molte sue incisioni nello Speculum. Incisore di riproduzione per eccellenza, il lorenese traduce opere di Girolamo Muziano, oltre che di artisti minori, con scene sacre e mitologiche, architetture e palazzi secondo il gusto dell’epoca. Il Beatricetto muore a Roma nel 1565. Gli stati del secondo Cinquecento recano i nomi di Claude Duchet ed eredi, Paolo Graziani, Pietro dè Nobili; nel Seicento quelli di Giovanni Orlandi, Philipp Thomassin, Gio. Giacomo dè Rossi “alla pace” e Giovan battista dè Rossi “a piazza Navona”; nel settecento il nome di Carlo Losi. Il Bartsch attribuisce al lorenese 108 stampe; 114 il Robert-Dumesnil, il Passavant 120.
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Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO Thionville 1515 circa - Roma 1565
Nicola o Niccolò Beatricetto o Beatrice o Beatici o Beatricius o Nicolas Beatrizet Lotharingus secondo il nome originale dell’incisore nativo nel 1515 c. in Francia a Thionville nella Lorena di cui inciderà la pianta nel 1557-58. Disegnatore e bulinista, Nicola è a Roma dal 1540, o già dal 1532 come supposto dal Gori Gandellini, dove frequenta la scuola di Marcantonio e Agostino Veneziano. Il Beatricetto si dimostra subito abile nel giusto equilibrio delle linee e dei punti e nella resa delle ombre e dei mezzi toni, tanto da divenire il capo degli incisori stranieri e dei vedutisti romani. Influenzato da Agostino Veneziano e da Giorgio Ghisi, il Beatricetto sceglie i suoi modelli in Raffaello e Michelangelo. Dal 1540 il lorenese lavora per Salamanca e dal 1541 fino al 1550 per Tommaso Barlacchi e dal 1548 per Antonio Lafrery che inserirà molte sue incisioni nello Speculum. Incisore di riproduzione per eccellenza, il lorenese traduce opere di Girolamo Muziano, oltre che di artisti minori, con scene sacre e mitologiche, architetture e palazzi secondo il gusto dell’epoca. Il Beatricetto muore a Roma nel 1565. Gli stati del secondo Cinquecento recano i nomi di Claude Duchet ed eredi, Paolo Graziani, Pietro dè Nobili; nel Seicento quelli di Giovanni Orlandi, Philipp Thomassin, Gio. Giacomo dè Rossi “alla pace” e Giovan battista dè Rossi “a piazza Navona”; nel settecento il nome di Carlo Losi. Il Bartsch attribuisce al lorenese 108 stampe; 114 il Robert-Dumesnil, il Passavant 120.
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