RITRATTO NEL QVALE SI RAPPRESENTA IL VERO SITO DELL’HORTI..
Riferimento: | S40851 |
Autore | Mario CARTARO |
Anno: | 1575 |
Zona: | Villa d'Este |
Misure: | 515 x 370 mm |
Riferimento: | S40851 |
Autore | Mario CARTARO |
Anno: | 1575 |
Zona: | Villa d'Este |
Misure: | 515 x 370 mm |
Descrizione
Acquaforte e bulino, firmata in basso a destra: «In Roma per Mario Kartaro l'anno Jubileo 1575». Parte dello Speculum Romanae Magnificentiae.
Iscritto in alto: «RITRATTO NEL QVALE SI RAPPRESENTA IL VERO SITO DELL’HORTI, ET FONTANE CHE CON INGENIOSISSIMI ADORNAMENTI ET MARAVIGLIE SI VEDONO NELLA VILLA IN TIVOLI, FATTA DALLA FE[LICE] ME[MORIA]D’HIPPOLITO DA ESTE CARD[INALE] DI FERRARA»
Dopo aver lavorato al Casino di Pio IV (1559-1565) in Vaticano, Pirro Ligorio lavorò a Villa d’Este a Tivoli. Il contributo del Ligorio non risulta dai documenti, ma la sua carica di antiquario di Casa d’Este e le affinità della villa tiburtina con il Casino di Pio IV inducono ad attribuire al Ligorio la sistemazione della villa. I lavori durarono dal 1560 sino alla morte di Ippolito d’Este (1572).
La prima versione, celebrativa del complesso della villa con i giardini, si deve ad Étienne Du Pérac, pubblicata l’8 aprile 1573. Il Du Pérac ebbe a disposizione i progetti di Pirro Ligorio per i giardini di Villa d’Este. La replica di Mario Cartaro viene alla luce per il Giubileo del 1575.
Sulla sommità del colle è disegnato il palazzo del cardinale. «Il pendio con la terrazza si configura come un grande disegno ornamentale composto di motivi a losanga, e le varie fontane, che sono il vanto della villa, sono incastonate nella geometria dei giardini. A un primo sguardo, il visitatore percorrendo i sentieri, doveva percepire l’impressione di ordine geometrico, i sentieri conducevano alle grotte, contenenti scene di argomento mitologico, dinastico, eroico. Gli antichi torsi della collezione estense erano stati restaurati, cioè adattati a questo programma, e collocati nelle grotte. L’esempio meglio conosciuto di architettura programmatica è la cosiddetta Rometta, che compare nell’angolo in alto a destra dell’incisione […]. Si tratta della rappresentazione di un’antica Roma, con un Tevere in miniatura che scorre intorno ad un’isola. Alla figura di Roma, seduta su un trono al centro di un gruppo di rovine, corrisponde la grande figura seduta della Sibilla Tiburtina nella “fontana di Tivoli”; nella “fontana dell’Aniene” si trova a sua volta la figura reclinata del vicino fiume Aniene, dal quale proviene l’acqua per l’intera villa» (cfr. Marigliani, n. VI.18).
L’opera appartiene allo Speculum Romanae Magnificentiae, la prima iconografia della Roma antica.
Lo Speculum ebbe origine nelle attività editoriali di Antonio Salamanca e Antonio Lafreri (Lafrery). Durante la loro carriera editoriale romana, i due editori - che hanno lavorato insieme tra il 1553 e il 1563 - hanno avviato la produzione di stampe di architettura, statuaria e vedutistica della città legate alla Roma antica e moderna. Le stampe potevano essere acquistate individualmente da turisti e collezionisti, ma venivano anche acquistate in gruppi più grandi che erano spesso legati insieme in un album. Nel 1573, Lafreri commissionò a questo scopo un frontespizio, dove compare per la prima volta il titolo Speculum Romanae Magnificentiae. Alla morte di Lafreri, due terzi delle lastre di rame esistenti andarono alla famiglia Duchetti (Claudio e Stefano), mentre un altro terzo fu distribuito tra diversi editori. Claudio Duchetti continuò l’attività editoriale, implementando le lastre dello Speculum con copie di quelle “perdute” nella divisione ereditaria, che fece incidere al milanese Amborgio Brambilla. Alla morte di Claudio (1585) le lastre furono cedute – dopo un breve periodo di pubblicazione degli eredi, in particolare nella figura di Giacomo Gherardi - a Giovanni Orlandi, che nel 1614 vendette la sua tipografia al fiammingo Hendrick van Schoel. Stefano Duchetti, al contrario, cedette le proprie matrici all’editore Paolo Graziani, che si associò con Pietro de Nobili; il fondo confluì nella tipografia De Rossi passando per le mani di editori come Marcello Clodio, Claudio Arbotti e Giovan Battista de Cavalleris. Il restante terzo di matrici della divisione Lafreri fu suddiviso e scisso tra diversi editori, in parte anche francesi: curioso vedere come alcune tavole vengano ristampate a Parigi da Francois Jollain alla metà del XVII secolo. Diverso percorso ebbero alcune lastre stampate da Antonio Salamanca nel suo primo periodo; attraverso il figlio Francesco, confluirono nella tipografia romana di Nicolas van Aelst. Altri editori che contribuirono allo Speculum furono i fratelli Michele e Francesco Tramezzino (autori di numerose lastre che confluirono in parte nella tipografia Lafreri), Tommaso Barlacchi, e Mario Cartaro, che fu l’esecutore testamentario del Lafreri, e stampò alcune lastre di derivazione. Per l’intaglio dei rami vennero chiamati a Roma e impiegati tutti i migliori incisori dell’epoca quali Nicola Beatrizet (Beatricetto), Enea Vico, Etienne Duperac, Ambrogio Brambilla e altri ancora.
Questo marasma e intreccio di editori, incisori e mercanti, il proliferare di botteghe calcografiche ed artigiani ha contribuito a creare il mito dello Speculum Romanae Magnificentiae, la più antica e importante iconografia della città eterna. Il primo studioso che ha cercato di analizzare sistematicamente la produzione a stampa delle tipografie romane del XVI secolo è stato Christian Hülsen, con il suo Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri del 1921. In epoca più recente, molto importanti sono stati gli studi di Peter Parshall (2006) Alessia Alberti (2010), Birte Rubach e Clemente Marigliani (2016). Le nostre schede sono elaborazioni ispirate principalmente da queste quattro pubblicazioni, integrate da commenti e correzioni per quanto non ci convince e ci è noto.
Magnifica prova, ricca di toni, impressa su carta vergata coeva con filigrana “scudo con giglio, chiavi incrociate e stella”, rifilata al rame, minimi restauri perfettamente eseguiti visibili al verso, per il resto in ottimo stato di conservazione.
Molto rara.
Timbro della collezione Artaria di Vienna al verso.
Bibliografia
cfr. Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento (2016), n. V.18; Huelsen n. 113f; Cattaneo, 2000, p. 6, n. 52.
Incisore, stampatore e commerciante di stampe, originario di Viterbo. Attivo a Roma tra 1557 e il 1586/8; a Napoli dal 1588. La prima opera datata risale al 1560. Incise e pubblicò le sue stesse opere, e acquistò anche lastre di altri artisti. Nel Museo di Storia delle Scienze di Firenze è conservata una stampa della volta celeste realizzata da Cartaro nel 1577. Esiste un altro esemplare corrispondente conservato nell’Osservatorio di Monte Mario. La sua produzione sembra essersi concentrata su soggetti devozionali e mappe, come ad esempio la grande mappa di Roma del 1576. Le sue lastre sono registrate nella lista del Vaccari del 1614.
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Incisore, stampatore e commerciante di stampe, originario di Viterbo. Attivo a Roma tra 1557 e il 1586/8; a Napoli dal 1588. La prima opera datata risale al 1560. Incise e pubblicò le sue stesse opere, e acquistò anche lastre di altri artisti. Nel Museo di Storia delle Scienze di Firenze è conservata una stampa della volta celeste realizzata da Cartaro nel 1577. Esiste un altro esemplare corrispondente conservato nell’Osservatorio di Monte Mario. La sua produzione sembra essersi concentrata su soggetti devozionali e mappe, come ad esempio la grande mappa di Roma del 1576. Le sue lastre sono registrate nella lista del Vaccari del 1614.
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