I cammei Grimani
Riferimento: | S45051 |
Autore | Enea VICO |
Anno: | 1550 ca. |
Misure: | 430 x 310 mm |
Riferimento: | S45051 |
Autore | Enea VICO |
Anno: | 1550 ca. |
Misure: | 430 x 310 mm |
Descrizione
Serie completa di tre incisioni al bulino, circa 1550/55, prive di firma ed indicazioni editoriali.
Le tavole, che riproducono una serie di gemme della collezione Grimani, sono attribuite dagli studiosi, a partire da Bartsch, al parmense Enea Vico. Anche Battista Franco realizzò delle incisioni (Bartsch XVI, p. 146, nn. 81-93) derivanti da queste gemme.
Esemplari nel primo stato di tre per Rubach (primo di due per Alberti), avanti l’indirizzo di Claudio Duchetti. Rubach descrive anche la tiratura di Giovanni Orlandi del 1602.
Non è dato sapere se il Vico incise le lastre su commissione del Lafreri o se le lastre furono acquistate in seguito dalla tipografia; figurano nell’Indice (1573, nn. 260-261) descritte come Tre tauole de diuersi intagli de Camelli fragmenti doue di uedono di molte sorte de sacrifitii & altre cose uarie. Possibile che la datazione risalga a dopo il 1551, quando la famiglia Grimani rientrò in possesso dei tesori che erano stati impegnati.
Magnifiche prove, ricche di toni, impresse su carta vergata coeva con filigrana “cervo in uno scudo con croce” (su Huelsen 84, cfr. Woodward nn. 51-53) e “corona” (su Huelsen 85-86, cfr. Woodward nn. 259-261), con ampi margini, in perfetto stato di conservazione.
“La prestigiosa Collezione Grimani apparve nell’opera Ex gemmis et cameis antiquorum aliquot monumenta. Le gemme furono confiscate da alcuni creditori a Marino Grimani per essere poi restituite, ad Orvieto, nel 1551 alla sua famiglia. L’incisione è attribuibile a Enea Vico per la curiosità con cui egli indagava le antichità romane, le statue, i dipinti, i sarcofagi, per non parlare dei suoi studi sulle medaglie pubblicati nel volume Le immagini con tutti i riversi trovati et le vite de gli Imperatori tratte dalle medaglie et dalle historie de gli antichi (1548). Ad uno studioso così attento non poteva sfuggire la rilevanza delle gemme intagliate e dei cammei antichi. Il Lafréry volle includere nello Speculum i disegni che ritraevano pezzi della Collezione” (cfr. Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento).
Da queste tre tavole, Philippe Thomassin aveva ricavato, verso il 1618, trentatré piccole lastre (cfr. Grelle Iusco 1996, p. 384, n. 17-10).
Le tavole appartengono allo Speculum Romanae Magnificentiae, la prima iconografia della Roma antica.
Lo Speculum ebbe origine nelle attività editoriali di Antonio Salamanca e Antonio Lafreri (Lafrery). Durante la loro carriera editoriale romana, i due editori - che hanno lavorato insieme tra il 1553 e il 1563 - hanno avviato la produzione di stampe di architettura, statuaria e vedutistica della città legate alla Roma antica e moderna. Le stampe potevano essere acquistate individualmente da turisti e collezionisti, ma venivano anche acquistate in gruppi più grandi che erano spesso legati insieme in un album. Nel 1573, Lafreri commissionò a questo scopo un frontespizio, dove compare per la prima volta il titolo Speculum Romanae Magnificentiae. Alla morte di Lafreri, due terzi delle lastre di rame esistenti andarono alla famiglia Duchetti (Claudio e Stefano), mentre un altro terzo fu distribuito tra diversi editori. Claudio Duchetti continuò l’attività editoriale, implementando le lastre dello Speculum con copie di quelle “perdute” nella divisione ereditaria, che fece incidere al milanese Amborgio Brambilla. Alla morte di Claudio (1585) le lastre furono cedute – dopo un breve periodo di pubblicazione degli eredi, in particolare nella figura di Giacomo Gherardi - a Giovanni Orlandi, che nel 1614 vendette la sua tipografia al fiammingo Hendrick van Schoel. Stefano Duchetti, al contrario, cedette le proprie matrici all’editore Paolo Graziani, che si associò con Pietro de Nobili; il fondo confluì nella tipografia De Rossi passando per le mani di editori come Marcello Clodio, Claudio Arbotti e Giovan Battista de Cavalleris. Il restante terzo di matrici della divisione Lafreri fu suddiviso e scisso tra diversi editori, in parte anche francesi: curioso vedere come alcune tavole vengano ristampate a Parigi da Francois Jollain alla metà del XVII secolo. Diverso percorso ebbero alcune lastre stampate da Antonio Salamanca nel suo primo periodo; attraverso il figlio Francesco, confluirono nella tipografia romana di Nicolas van Aelst. Altri editori che contribuirono allo Speculum furono i fratelli Michele e Francesco Tramezzino (autori di numerose lastre che confluirono in parte nella tipografia Lafreri), Tommaso Barlacchi, e Mario Cartaro, che fu l’esecutore testamentario del Lafreri, e stampò alcune lastre di derivazione. Per l’intaglio dei rami vennero chiamati a Roma e impiegati tutti i migliori incisori dell’epoca quali Nicola Beatrizet (Beatricetto), Enea Vico, Etienne Duperac, Ambrogio Brambilla e altri ancora.
Questo marasma e intreccio di editori, incisori e mercanti, il proliferare di botteghe calcografiche ed artigiani ha contribuito a creare il mito dello Speculum Romanae Magnificentiae, la più antica e importante iconografia della città eterna. Il primo studioso che ha cercato di analizzare sistematicamente la produzione a stampa delle tipografie romane del XVI secolo è stato Christian Hülsen, con il suo Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri del 1921. In epoca più recente, molto importanti sono stati gli studi di Peter Parshall (2006) Alessia Alberti (2010), Birte Rubach e Clemente Marigliani (2016). Le nostre schede sono elaborazioni ispirate principalmente da queste quattro pubblicazioni, integrate da commenti e correzioni per quanto non ci convince e ci è noto.
Bibliografia
C. Hülsen, Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri (1921), nn. 84-86; cfr. Peter Parshall, Antonio Lafreri's 'Speculum Romanae Magnificentiae, in “Print Quarterly”, 1 (2006); B. Rubach, Ant. Lafreri Formis Romae (2016), nn. 347-349, I/III; A. Alberti, L’indice di Antonio Lafrery (2010), n. A 138-140, I/II; Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento (2016), nn. VI.75-77; cfr. D. Woodward, Catalogue of watermarks in Italian printed maps 1540 – 1600 (1996); Bartsch XV, p. 318, nn. 100-103.
Enea VICO (Parma 1523 - Ferrara 1567)
Enea, figlio di Francesco, è antiquario, disegnatore, incisore e numismatico. Nasce a Parma il 19 gennaio 1523 e non nel 1521 come stabilisce l’Huber. Dopo aver acquisito una prima formazione letteraria e artistica in questa città, e forse conosciuto i principi del disegno alla scuola di Giulio Romano, Enea si trasferisce a Roma nel 1541. Nella città pontificia Enea lavora per Tommaso Barlacchi, lo stampatore che compare al suo fianco come incisore in una serie di grottesche edite nel 1542. Nel clima classicheggiante ed erudito della città, il suo stile si affina sui modelli di Perin del Vaga e di Francesco Salviati, pur sempre interpretati secondo la lezione di Parmigianino. Entro il V decennio del secolo il Vico, dopo aver assimilato la lezione dei grandi maestri, Marcantonio, Agostino Veneziano, Caraglio, Bonasone, acquisisce uno stile personale che lo porta a realizzare le sue stampe migliori. Lasciata Roma per Venezia, il Vico soggiorna a Firenze presso Cosimo I prima di stabilirsi a Venezia dove, a detta del Vasari, era andato nel 1557. Successivamente nel 1563 passa al servizio di Alfonso d’Este a Ferrara rimanendovi fino alla morte avvenuta il 17 agosto 1567. Di Vico rimangono circa 500 incisioni a bulino: ritratti, serie di vasi antichi, gemme e cammei, incisioni da opere di Raffaello, Michelangelo, Salviati, ecc.; la raccolta Le immagini delle donne auguste (tratte da medaglie romane, 1557). La sua fama di numismatico trova conferma nei volumi Immagini con tutti i riversi trovati et le vite degli imperatori (1548); Discorsi sopra le medaglie degli antichi (1555); Commentari alle antiche medaglie degli imperatori romani (1560).
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Enea VICO (Parma 1523 - Ferrara 1567)
Enea, figlio di Francesco, è antiquario, disegnatore, incisore e numismatico. Nasce a Parma il 19 gennaio 1523 e non nel 1521 come stabilisce l’Huber. Dopo aver acquisito una prima formazione letteraria e artistica in questa città, e forse conosciuto i principi del disegno alla scuola di Giulio Romano, Enea si trasferisce a Roma nel 1541. Nella città pontificia Enea lavora per Tommaso Barlacchi, lo stampatore che compare al suo fianco come incisore in una serie di grottesche edite nel 1542. Nel clima classicheggiante ed erudito della città, il suo stile si affina sui modelli di Perin del Vaga e di Francesco Salviati, pur sempre interpretati secondo la lezione di Parmigianino. Entro il V decennio del secolo il Vico, dopo aver assimilato la lezione dei grandi maestri, Marcantonio, Agostino Veneziano, Caraglio, Bonasone, acquisisce uno stile personale che lo porta a realizzare le sue stampe migliori. Lasciata Roma per Venezia, il Vico soggiorna a Firenze presso Cosimo I prima di stabilirsi a Venezia dove, a detta del Vasari, era andato nel 1557. Successivamente nel 1563 passa al servizio di Alfonso d’Este a Ferrara rimanendovi fino alla morte avvenuta il 17 agosto 1567. Di Vico rimangono circa 500 incisioni a bulino: ritratti, serie di vasi antichi, gemme e cammei, incisioni da opere di Raffaello, Michelangelo, Salviati, ecc.; la raccolta Le immagini delle donne auguste (tratte da medaglie romane, 1557). La sua fama di numismatico trova conferma nei volumi Immagini con tutti i riversi trovati et le vite degli imperatori (1548); Discorsi sopra le medaglie degli antichi (1555); Commentari alle antiche medaglie degli imperatori romani (1560).
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