Marforio
Riferimento: | S45039 |
Autore | Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO |
Anno: | 1550 |
Misure: | 430 x 375 mm |
Riferimento: | S45039 |
Autore | Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO |
Anno: | 1550 |
Misure: | 430 x 375 mm |
Descrizione
Bulino, 1550, firmato e datato in basso a sinistra ANT LAFRERI SEQVANI EXCVDEBAT ROMAE ∞ DL.
L’opera, una replica dell’incisione attribuita a Nicolas Beatrizet per i tipi di Antonio Salamanca, viene sempre assegnata al lorenese, in maniera dubitativa, da Silvia Bianchi.
Esemplare nel primo stato di due, avanti l’indirizzo di Pietro de Nobili.
Magnifica prova, ricca di toni impressa su carta vergata coeva con filigrana “balestra nel cerchio” (cfr. Woodward nn. 203-213), rifilata al rame e con margini coevi aggiunti, tracce di piega centrale e piccolo strappo restaurato al centro, per il resto in ottimo stato di conservazione.
Iscritto in alto a sinistra: Quest’è di Roma un nobil cittadino Il qual (ne alcun si pensi ch’io l’inganni) Naqque con questa barba e in questi panni E fu si grande in sin ch’era piccino Non mangiò mai ne beuue: et è vicino A forse più di Mille et Dugento anni Et non di meno i disagi et li affanni Tutti del mondo non stima un qattrino Sempre, et si puo dir nudo, al aqua, al sole Al vento, e in terra stassi senza tetto, Ne un dente pur, non ch’altro mai li duole. Di natura quieto, graue, ischietto Candido; di pochissime parole, et a molte faccende atto e perfetto Anchor che per dispetto gia lo storpiassin certi traditori come vedete, et ha nome. MARFVORI.
Iscritto nel primo cartiglio in basso a sinistra QVATTVOR HAS STATVARVM BASES CVM SVIS INSCRIPTIONIBVS ANNO ∞ D XLVII VNA CVM ALIIS NONNVLLIS AD ARCVM SEPT[IMII] SEVERI NON PROCVL AB HAC MARFORII STATVA ERVTAS NON ABSVRDE HIC SVBIVNGI POSSE PVTAVIMVS [Abbiamo ritenuto che non era fuori posto aggiungere queste quattro basi di statue con le loro iscrizioni, rinvenute nell’anno 1547 con qualche altra presso l’arco di Settimio Severo, non lontano da questa statua di Marforio].
“La colossale statua di Marforio era conservata nel Medioevo nei pressi dell’Arco di Settimio Severo, come si ricava dalle iscrizioni delle quattro basi raffigurate in basso. Il trasferimento avvenne il 4 gennaio 1588 quando il Senato Romano pagò due muratori per il suo trasferimento a piazza San Marco. Dopo alterne vicende e ripensamenti la statua andò a decorare il terrapieno della piazza del Campidoglio verso l’Aracoeli e, infine, nel 1734 venne traslocata nel cortile dei Musei Capitolini. La statua di Marforio nella tradizione romana entrò a far parte delle statue parlanti insieme a Pasquino, l’abate Luigi, il Babuino e il Facchino […] Sulla statua di Marforio durante il Cinquecento fiorirono numerose interpretazioni: due furono raccolte da Andrea Palladio in uno dei suoi viaggi a Roma (1541): «Quella statua che è a piedi del Campidoglio hoggi detto Marforio, credesi che fosse di Giove Panario, fatto in memoria di quei pani, che gittorno le guardie del Campidoglio nel campo de Galli, quando lo tenevano assediato. Altri vogliono che sia il simulacro del fiume Reno, sopra la testa del quale già teneva un piede il cavallo di Domitiano Imperatore fatto di bronzo». Le discussioni, le curiosità che giravano intorno alla statua favorirono numerose edizioni a stampa, tra le quali le repliche di Camocio, Duchetti e Van Aelst” (cfr. Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento).
L’opera appartiene allo Speculum Romanae Magnificentiae, la prima iconografia della Roma antica. La lastra figura nell'Indice del Lafreri al n. 248, descritta come Statua di Marforio.
Lo Speculum ebbe origine nelle attività editoriali di Antonio Salamanca e Antonio Lafreri (Lafrery). Durante la loro carriera editoriale romana, i due editori - che hanno lavorato insieme tra il 1553 e il 1563 - hanno avviato la produzione di stampe di architettura, statuaria e vedutistica della città legate alla Roma antica e moderna. Le stampe potevano essere acquistate individualmente da turisti e collezionisti, ma venivano anche acquistate in gruppi più grandi che erano spesso legati insieme in un album. Nel 1573, Lafreri commissionò a questo scopo un frontespizio, dove compare per la prima volta il titolo Speculum Romanae Magnificentiae. Alla morte di Lafreri, due terzi delle lastre di rame esistenti andarono alla famiglia Duchetti (Claudio e Stefano), mentre un altro terzo fu distribuito tra diversi editori. Claudio Duchetti continuò l’attività editoriale, implementando le lastre dello Speculum con copie di quelle “perdute” nella divisione ereditaria, che fece incidere al milanese Amborgio Brambilla. Alla morte di Claudio (1585) le lastre furono cedute – dopo un breve periodo di pubblicazione degli eredi, in particolare nella figura di Giacomo Gherardi - a Giovanni Orlandi, che nel 1614 vendette la sua tipografia al fiammingo Hendrick van Schoel. Stefano Duchetti, al contrario, cedette le proprie matrici all’editore Paolo Graziani, che si associò con Pietro de Nobili; il fondo confluì nella tipografia De Rossi passando per le mani di editori come Marcello Clodio, Claudio Arbotti e Giovan Battista de Cavalleris. Il restante terzo di matrici della divisione Lafreri fu suddiviso e scisso tra diversi editori, in parte anche francesi: curioso vedere come alcune tavole vengano ristampate a Parigi da Francois Jollain alla metà del XVII secolo. Diverso percorso ebbero alcune lastre stampate da Antonio Salamanca nel suo primo periodo; attraverso il figlio Francesco, confluirono nella tipografia romana di Nicolas van Aelst. Altri editori che contribuirono allo Speculum furono i fratelli Michele e Francesco Tramezzino (autori di numerose lastre che confluirono in parte nella tipografia Lafreri), Tommaso Barlacchi, e Mario Cartaro, che fu l’esecutore testamentario del Lafreri, e stampò alcune lastre di derivazione. Per l’intaglio dei rami vennero chiamati a Roma e impiegati tutti i migliori incisori dell’epoca quali Nicola Beatrizet (Beatricetto), Enea Vico, Etienne Duperac, Ambrogio Brambilla e altri ancora.
Questo marasma e intreccio di editori, incisori e mercanti, il proliferare di botteghe calcografiche ed artigiani ha contribuito a creare il mito dello Speculum Romanae Magnificentiae, la più antica e importante iconografia della città eterna. Il primo studioso che ha cercato di analizzare sistematicamente la produzione a stampa delle tipografie romane del XVI secolo è stato Christian Hülsen, con il suo Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri del 1921. In epoca più recente, molto importanti sono stati gli studi di Peter Parshall (2006) Alessia Alberti (2010), Birte Rubach e Clemente Marigliani (2016). Le nostre schede sono elaborazioni ispirate principalmente da queste quattro pubblicazioni, integrate da commenti e correzioni per quanto non ci convince e ci è noto.
Bibliografia
C. Hülsen, Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri (1921), n. 70/A; cfr. Peter Parshall, Antonio Lafreri's 'Speculum Romanae Magnificentiae, in “Print Quarterly”, 1 (2006); B. Rubach, Ant. Lafreri Formis Romae (2016), n. 336, I/II; A. Alberti, L’indice di Antonio Lafrery (2010), n. 83, I/II; Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento (2016), n. V.57; cfr, D. Woodward, Catalogue of watermarks in Italian printed maps 1540 – 1600 (1996); S. Bianchi, Catalogo dell’opera incisa di Nicolas Beatrizet, p. 7, n. D.21/A.
Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO Thionville 1515 circa - Roma 1565
Nicola o Niccolò Beatricetto o Beatrice o Beatici o Beatricius o Nicolas Beatrizet Lotharingus secondo il nome originale dell’incisore nativo nel 1515 c. in Francia a Thionville nella Lorena di cui inciderà la pianta nel 1557-58. Disegnatore e bulinista, Nicola è a Roma dal 1540, o già dal 1532 come supposto dal Gori Gandellini, dove frequenta la scuola di Marcantonio e Agostino Veneziano. Il Beatricetto si dimostra subito abile nel giusto equilibrio delle linee e dei punti e nella resa delle ombre e dei mezzi toni, tanto da divenire il capo degli incisori stranieri e dei vedutisti romani. Influenzato da Agostino Veneziano e da Giorgio Ghisi, il Beatricetto sceglie i suoi modelli in Raffaello e Michelangelo. Dal 1540 il lorenese lavora per Salamanca e dal 1541 fino al 1550 per Tommaso Barlacchi e dal 1548 per Antonio Lafrery che inserirà molte sue incisioni nello Speculum. Incisore di riproduzione per eccellenza, il lorenese traduce opere di Girolamo Muziano, oltre che di artisti minori, con scene sacre e mitologiche, architetture e palazzi secondo il gusto dell’epoca. Il Beatricetto muore a Roma nel 1565. Gli stati del secondo Cinquecento recano i nomi di Claude Duchet ed eredi, Paolo Graziani, Pietro dè Nobili; nel Seicento quelli di Giovanni Orlandi, Philipp Thomassin, Gio. Giacomo dè Rossi “alla pace” e Giovan battista dè Rossi “a piazza Navona”; nel settecento il nome di Carlo Losi. Il Bartsch attribuisce al lorenese 108 stampe; 114 il Robert-Dumesnil, il Passavant 120.
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Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO Thionville 1515 circa - Roma 1565
Nicola o Niccolò Beatricetto o Beatrice o Beatici o Beatricius o Nicolas Beatrizet Lotharingus secondo il nome originale dell’incisore nativo nel 1515 c. in Francia a Thionville nella Lorena di cui inciderà la pianta nel 1557-58. Disegnatore e bulinista, Nicola è a Roma dal 1540, o già dal 1532 come supposto dal Gori Gandellini, dove frequenta la scuola di Marcantonio e Agostino Veneziano. Il Beatricetto si dimostra subito abile nel giusto equilibrio delle linee e dei punti e nella resa delle ombre e dei mezzi toni, tanto da divenire il capo degli incisori stranieri e dei vedutisti romani. Influenzato da Agostino Veneziano e da Giorgio Ghisi, il Beatricetto sceglie i suoi modelli in Raffaello e Michelangelo. Dal 1540 il lorenese lavora per Salamanca e dal 1541 fino al 1550 per Tommaso Barlacchi e dal 1548 per Antonio Lafrery che inserirà molte sue incisioni nello Speculum. Incisore di riproduzione per eccellenza, il lorenese traduce opere di Girolamo Muziano, oltre che di artisti minori, con scene sacre e mitologiche, architetture e palazzi secondo il gusto dell’epoca. Il Beatricetto muore a Roma nel 1565. Gli stati del secondo Cinquecento recano i nomi di Claude Duchet ed eredi, Paolo Graziani, Pietro dè Nobili; nel Seicento quelli di Giovanni Orlandi, Philipp Thomassin, Gio. Giacomo dè Rossi “alla pace” e Giovan battista dè Rossi “a piazza Navona”; nel settecento il nome di Carlo Losi. Il Bartsch attribuisce al lorenese 108 stampe; 114 il Robert-Dumesnil, il Passavant 120.
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