Statua di Oceano
Riferimento: | S45038 |
Autore | Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO |
Anno: | 1560 |
Misure: | 420 x 310 mm |
Riferimento: | S45038 |
Autore | Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO |
Anno: | 1560 |
Misure: | 420 x 310 mm |
Descrizione
Bulino, 1560, firmato e datato in lastra in alto al centro.
Statua di Oceano della collezione Farnese; incisa da Nicolas Beatrizet per Antonio Lafreri.
Esemplare nel secondo stato di quattro, con la parola Amice all'inizio dell'iscrizione: AMICE QVAM TV HIC EFFIGIEM SPECTATV RARAM DEMIRARIS OCEANI EST ANNIS SVPERIORIB[VS] ROMÆ REPERTA AD ARCVM CAMPILIANI VBI ANTEA NILI ET TIBERIS QVOR[RVM] NVNC IN VATICANO INTRA PONTIFICVM HORTIS VISVNTVR IMAGINES SED HVIVSCE SPECTATV DIGNVM SIMVLACHRVM NVNC IN ÆDIBVS IO[ANNIS] BAPTISTAE ET IO[ANNIS] VINCENTII FABIORVM ROMÆ AD SARRÆ AREAM VISITVR INTERIM QVOD HVNC IN MODVM TIBI REPRHESENTATVR OCEANVS NICOLAO BRATRICIO LOTHARINGO GRATIAS HABE VALE ROMÆ ∞ D LX [Amico, l’immagine che tu rimiri, rara a vedersi, è l’immagine di Oceano. Fu ritrovata anni addietro presso l’arco di Campiliano dove ancor prima [erano state trovate] le immagini del Nilo e del Tevere che ora si possono visitare in Vaticano, negli orti pontifici. Ma questa statua, degna di essere veduta, si visita per ora nel palazzo di Giovanni Battista e Giovanni Vincenzo Fabii, a Roma, presso l’area di Sarra. Per te l’Oceano è raffigurato in questo modo da Nicolas Beatrizet, lorenese. Grazie, e sta bene. Roma 1560].
Magnifica prova, ricca di toni impressa su carta vergata coeva con filigrana “giglio nel cerchio” (cfr. Woodward nn. 97-100), con margini, in ottimo stato di conservazione.
“La statua era compresa nel lotto di sculture che i Farnese acquistarono dalla Collezione di Bernardino Fabio tra il 1547 ed il 1549. I Fabii, possessori di Castel Fusano, di parte dello stagno di Ostia e di altre tenute, avevano raccolto parecchie sculture di grande pregio fra le quali la statua di Oceano qui raffigurata. A Palazzo Farnese la statua rimase sino al 1786 per essere poi trasportata via mare a Napoli nel 1789, insieme a tutta la Collezione farnesiana e oggi è al Museo Archeologico Nazionale della stessa città. L’opera viene datata (anche se non concordemente dagli studiosi) al II secolo d.C. Il dio Oceano giace sdraiato su un fianco sopra una superficie increspata che simboleggia il mare. Sulle sue spalle poggia un remo mentre un braccio è posto quasi ad accarezzare un Ketos, o drago marino” (cfr. Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento).
L’opera appartiene allo Speculum Romanae Magnificentiae, la prima iconografia della Roma antica. Figura nell'Indice Lafreri, al n. 171, come “Simulacro di Oceano nella casa di Gioanbattista & Gioanuincenzo de Fabij alla piazza di Sciarra”.
Lo Speculum ebbe origine nelle attività editoriali di Antonio Salamanca e Antonio Lafreri (Lafrery). Durante la loro carriera editoriale romana, i due editori - che hanno lavorato insieme tra il 1553 e il 1563 - hanno avviato la produzione di stampe di architettura, statuaria e vedutistica della città legate alla Roma antica e moderna. Le stampe potevano essere acquistate individualmente da turisti e collezionisti, ma venivano anche acquistate in gruppi più grandi che erano spesso legati insieme in un album. Nel 1573, Lafreri commissionò a questo scopo un frontespizio, dove compare per la prima volta il titolo Speculum Romanae Magnificentiae. Alla morte di Lafreri, due terzi delle lastre di rame esistenti andarono alla famiglia Duchetti (Claudio e Stefano), mentre un altro terzo fu distribuito tra diversi editori. Claudio Duchetti continuò l’attività editoriale, implementando le lastre dello Speculum con copie di quelle “perdute” nella divisione ereditaria, che fece incidere al milanese Amborgio Brambilla. Alla morte di Claudio (1585) le lastre furono cedute – dopo un breve periodo di pubblicazione degli eredi, in particolare nella figura di Giacomo Gherardi - a Giovanni Orlandi, che nel 1614 vendette la sua tipografia al fiammingo Hendrick van Schoel. Stefano Duchetti, al contrario, cedette le proprie matrici all’editore Paolo Graziani, che si associò con Pietro de Nobili; il fondo confluì nella tipografia De Rossi passando per le mani di editori come Marcello Clodio, Claudio Arbotti e Giovan Battista de Cavalleris. Il restante terzo di matrici della divisione Lafreri fu suddiviso e scisso tra diversi editori, in parte anche francesi: curioso vedere come alcune tavole vengano ristampate a Parigi da Francois Jollain alla metà del XVII secolo. Diverso percorso ebbero alcune lastre stampate da Antonio Salamanca nel suo primo periodo; attraverso il figlio Francesco, confluirono nella tipografia romana di Nicolas van Aelst. Altri editori che contribuirono allo Speculum furono i fratelli Michele e Francesco Tramezzino (autori di numerose lastre che confluirono in parte nella tipografia Lafreri), Tommaso Barlacchi, e Mario Cartaro, che fu l’esecutore testamentario del Lafreri, e stampò alcune lastre di derivazione. Per l’intaglio dei rami vennero chiamati a Roma e impiegati tutti i migliori incisori dell’epoca quali Nicola Beatrizet (Beatricetto), Enea Vico, Etienne Duperac, Ambrogio Brambilla e altri ancora.
Questo marasma e intreccio di editori, incisori e mercanti, il proliferare di botteghe calcografiche ed artigiani ha contribuito a creare il mito dello Speculum Romanae Magnificentiae, la più antica e importante iconografia della città eterna. Il primo studioso che ha cercato di analizzare sistematicamente la produzione a stampa delle tipografie romane del XVI secolo è stato Christian Hülsen, con il suo Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri del 1921. In epoca più recente, molto importanti sono stati gli studi di Peter Parshall (2006) Alessia Alberti (2010), Birte Rubach e Clemente Marigliani (2016). Le nostre schede sono elaborazioni ispirate principalmente da queste quattro pubblicazioni, integrate da commenti e correzioni per quanto non ci convince e ci è noto.
Bibliografia
C. Hülsen, Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri (1921), n. 62/A; cfr. Peter Parshall, Antonio Lafreri's 'Speculum Romanae Magnificentiae, in “Print Quarterly”, 1 (2006); B. Rubach, Ant. Lafreri Formis Romae (2016), n. 328, II/IV; A. Alberti, L’indice di Antonio Lafrery (2010), n. A 127, II/IV; Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento (2016), n. V.66; cfr, D. Woodward, Catalogue of watermarks in Italian printed maps 1540 – 1600 (1996); Bartsch XV, S. 267, Nr. 9; Bianchi 2003-III, S. 7, Nr. 105; Robert-Dumesnil, Bd. 9, 1865, S. 173, Nr. 101; TIB 29, S. 360, 97 (267); R. Lanciani, Ii, 1990, P. 170; C. Witcombe, 2008, pp. 155, 158.
Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO Thionville 1515 circa - Roma 1565
Nicola o Niccolò Beatricetto o Beatrice o Beatici o Beatricius o Nicolas Beatrizet Lotharingus secondo il nome originale dell’incisore nativo nel 1515 c. in Francia a Thionville nella Lorena di cui inciderà la pianta nel 1557-58. Disegnatore e bulinista, Nicola è a Roma dal 1540, o già dal 1532 come supposto dal Gori Gandellini, dove frequenta la scuola di Marcantonio e Agostino Veneziano. Il Beatricetto si dimostra subito abile nel giusto equilibrio delle linee e dei punti e nella resa delle ombre e dei mezzi toni, tanto da divenire il capo degli incisori stranieri e dei vedutisti romani. Influenzato da Agostino Veneziano e da Giorgio Ghisi, il Beatricetto sceglie i suoi modelli in Raffaello e Michelangelo. Dal 1540 il lorenese lavora per Salamanca e dal 1541 fino al 1550 per Tommaso Barlacchi e dal 1548 per Antonio Lafrery che inserirà molte sue incisioni nello Speculum. Incisore di riproduzione per eccellenza, il lorenese traduce opere di Girolamo Muziano, oltre che di artisti minori, con scene sacre e mitologiche, architetture e palazzi secondo il gusto dell’epoca. Il Beatricetto muore a Roma nel 1565. Gli stati del secondo Cinquecento recano i nomi di Claude Duchet ed eredi, Paolo Graziani, Pietro dè Nobili; nel Seicento quelli di Giovanni Orlandi, Philipp Thomassin, Gio. Giacomo dè Rossi “alla pace” e Giovan battista dè Rossi “a piazza Navona”; nel settecento il nome di Carlo Losi. Il Bartsch attribuisce al lorenese 108 stampe; 114 il Robert-Dumesnil, il Passavant 120.
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Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO Thionville 1515 circa - Roma 1565
Nicola o Niccolò Beatricetto o Beatrice o Beatici o Beatricius o Nicolas Beatrizet Lotharingus secondo il nome originale dell’incisore nativo nel 1515 c. in Francia a Thionville nella Lorena di cui inciderà la pianta nel 1557-58. Disegnatore e bulinista, Nicola è a Roma dal 1540, o già dal 1532 come supposto dal Gori Gandellini, dove frequenta la scuola di Marcantonio e Agostino Veneziano. Il Beatricetto si dimostra subito abile nel giusto equilibrio delle linee e dei punti e nella resa delle ombre e dei mezzi toni, tanto da divenire il capo degli incisori stranieri e dei vedutisti romani. Influenzato da Agostino Veneziano e da Giorgio Ghisi, il Beatricetto sceglie i suoi modelli in Raffaello e Michelangelo. Dal 1540 il lorenese lavora per Salamanca e dal 1541 fino al 1550 per Tommaso Barlacchi e dal 1548 per Antonio Lafrery che inserirà molte sue incisioni nello Speculum. Incisore di riproduzione per eccellenza, il lorenese traduce opere di Girolamo Muziano, oltre che di artisti minori, con scene sacre e mitologiche, architetture e palazzi secondo il gusto dell’epoca. Il Beatricetto muore a Roma nel 1565. Gli stati del secondo Cinquecento recano i nomi di Claude Duchet ed eredi, Paolo Graziani, Pietro dè Nobili; nel Seicento quelli di Giovanni Orlandi, Philipp Thomassin, Gio. Giacomo dè Rossi “alla pace” e Giovan battista dè Rossi “a piazza Navona”; nel settecento il nome di Carlo Losi. Il Bartsch attribuisce al lorenese 108 stampe; 114 il Robert-Dumesnil, il Passavant 120.
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