Colonna Antonina e obelisco del Mausoleo d'Augusto
Riferimento: | S45021 |
Autore | Enea VICO |
Anno: | 1550 ca. |
Zona: | Colonna Antonina |
Misure: | 330 x 460 mm |
Riferimento: | S45021 |
Autore | Enea VICO |
Anno: | 1550 ca. |
Zona: | Colonna Antonina |
Misure: | 330 x 460 mm |
Descrizione
Bulino, 1550 circa, firmato in basso a sinistra: A.S. excudebat.
Incisione attribuita da Bartsch e Le Blanc ad Enea Vico, assegnazione oggi riconosciuta da molti studiosi.
Esemplare nel primo stato di due, con l’imprint di Salamanca, avanti l’indirizzo di Giovanni Orlandi, che aggiunse in alto la scritta LA COLONNA ANTONINA.
Magnifica prova, ricca di toni, impressa su carta vergata coeva con filigrana “ancora nel cerchio” (difficilissima lettura ma sembrerebbe quella descritta da Woodward, n. 157), rifilata al rame, tracce di restauro della piega centrale orizzontale visibili al verso, per il resto in ottimo stato di conservazione.
Iscrizione sul basamento della Colonna: «COL. ANTONINI».
“Il paesaggio sullo sfondo è un collage di edifici romani (Castel Sant’Angelo, le mura, i ponti sul Tevere, l’Isola Tiberina, le chiese, San Pietro in Montorio…) e, sul davanti, la lupa e la personificazione del Tevere. L’obelisco è spostato in avanti perché la colonna sembri superarlo in altezza. La colonna, alla maniera di quella Traiana, rappresenta le guerre dell’imperatore Marco Aurelio, ed anche in questo caso, le illustrazioni dei rilievi iniziano con il passaggio su un ponte gettato sul Danubio. Rispetto alla prima, le figure sono meno numerose e più sparse così che consentono una maggiore leggibilità. Nell’obelisco affiancato alla colonna alcuni hanno creduto di identificare l’obelisco vaticano ma, molto probabilmente, si tratta di quello del Mausoleo di Augusto. La colonna di Marco Aurelio si presenta nel disegno con gravi lacune: il Fontana riferisce che «ben maggior difficoltà fu nella colonna Antonina la quale parte per l’antichità, e parte per esser stata abrugiata da Barbari era ridotta a tal termine, che pareva impossibile, non che difficile a ristorarla, perché in molti luoghi stava aperta e crepata, e in molti luoghi vi mancavano pezzi di marmo grandissimi, a tale che spaventava chi la rimirava. Però è stato necessario farvi un castello a torno fino alla cima, et aggiungervi molti marmi dove mancavano, e intagliarvi sopra le figure con grandissima diligenza, si che con grande arte, e spesa è quasi ridotta al suo primiero stato, et fattovi l’ornamento del piedistallo tutto di nuovo di marmo gentile, perché l’antico era tutto guasto e consumato». L’incisione del Salamanca fu edita nuovamente da Paolo Graziani (1582), da Pietro De Nobili (1585), e da Giovanni Orlandi nel 1602 con la scritta grande nella parte alta dell’incisione La Colonna Antoniana”. (cfr. Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento).
Sebbene Marigliani sostenga che la lastra sia stata ristampata da Paolo Graziani e Pietro de Nobili, non ci sono evidenze a riguardo; implicherebbe il fatto che la matrice del Salamanca, attraverso Lafreri, venne ereditata da Stefano Duchetti, che cedette la sua quota della tipografia al Graziani. Non ci sembra che il rame sia tra quelli descritti nella compravendita documentata da Valeria Pagani (cfr. The Dispesal of Lafreri’s Inheritance 1581-89, in “Print Quarterly” vol. 25 & 28 e Inventari di rami Lafreri-Duchet, 1598–99. In Leuschner, “Ein privilegiertes Medium”, pp. 63–85, Roma 2012). Tuttavia, sebbene indichiamo l’esistenza di soli due stati della lastra, sono possibili ulteriori tirature della stessa, sia antecedenti all’edizione Orlandi che successive, del fimmaingo Hendrick van Schoel, a cui Orlandi cedette la tipografia nel 1614.
Peculiarità di questa incisione è che, in basso a sinistra, poco sopra l’imprint dell’editore, compare l’attributo figurato dell’ala di uccello; tale attributo è presente anche nell’incisione speculare – copia in controparte di questa stampa, e quindi in basso a destra – che Antonio Lafreri fece incidere in concorrenza con il Salamanca e che ha indotto alcuni studiosi ad attribuire la tavola lafreriana ad un fantomatico Maestro dell’ala di uccello. La caratteristica di questa incisione è quella di fornire uno dei primi scorci panoramici sulla città.
L’opera appartiene allo Speculum Romanae Magnificentiae, la prima iconografia della Roma antica.
Lo Speculum ebbe origine nelle attività editoriali di Antonio Salamanca e Antonio Lafreri (Lafrery). Durante la loro carriera editoriale romana, i due editori - che hanno lavorato insieme tra il 1553 e il 1563 - hanno avviato la produzione di stampe di architettura, statuaria e vedutistica della città legate alla Roma antica e moderna. Le stampe potevano essere acquistate individualmente da turisti e collezionisti, ma venivano anche acquistate in gruppi più grandi che erano spesso legati insieme in un album. Nel 1573, Lafreri commissionò a questo scopo un frontespizio, dove compare per la prima volta il titolo Speculum Romanae Magnificentiae. Alla morte di Lafreri, due terzi delle lastre di rame esistenti andarono alla famiglia Duchetti (Claudio e Stefano), mentre un altro terzo fu distribuito tra diversi editori. Claudio Duchetti continuò l’attività editoriale, implementando le lastre dello Speculum con copie di quelle “perdute” nella divisione ereditaria, che fece incidere al milanese Amborgio Brambilla. Alla morte di Claudio (1585) le lastre furono cedute – dopo un breve periodo di pubblicazione degli eredi, in particolare nella figura di Giacomo Gherardi - a Giovanni Orlandi, che nel 1614 vendette la sua tipografia al fiammingo Hendrick van Schoel. Stefano Duchetti, al contrario, cedette le proprie matrici all’editore Paolo Graziani, che si associò con Pietro de Nobili; il fondo confluì nella tipografia De Rossi passando per le mani di editori come Marcello Clodio, Claudio Arbotti e Giovan Battista de Cavalleris. Il restante terzo di matrici della divisione Lafreri fu suddiviso e scisso tra diversi editori, in parte anche francesi: curioso vedere come alcune tavole vengano ristampate a Parigi da Francois Jollain alla metà del XVII secolo. Diverso percorso ebbero alcune lastre stampate da Antonio Salamanca nel suo primo periodo; attraverso il figlio Francesco, confluirono nella tipografia romana di Nicolas van Aelst. Altri editori che contribuirono allo Speculum furono i fratelli Michele e Francesco Tramezzino (autori di numerose lastre che confluirono in parte nella tipografia Lafreri), Tommaso Barlacchi, e Mario Cartaro, che fu l’esecutore testamentario del Lafreri, e stampò alcune lastre di derivazione. Per l’intaglio dei rami vennero chiamati a Roma e impiegati tutti i migliori incisori dell’epoca quali Nicola Beatrizet (Beatricetto), Enea Vico, Etienne Duperac, Ambrogio Brambilla e altri ancora.
Questo marasma e intreccio di editori, incisori e mercanti, il proliferare di botteghe calcografiche ed artigiani ha contribuito a creare il mito dello Speculum Romanae Magnificentiae, la più antica e importante iconografia della città eterna. Il primo studioso che ha cercato di analizzare sistematicamente la produzione a stampa delle tipografie romane del XVI secolo è stato Christian Hülsen, con il suo Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri del 1921. In epoca più recente, molto importanti sono stati gli studi di Peter Parshall (2006)m Alessia Alberti (2010), Birte Rubach e Clemente Marigliani (2016). Le nostre schede sono elaborazioni ispirate principalmente da queste quattro pubblicazioni, integrate da commenti e correzioni per quanto non ci convince e ci è noto.
Opera di grandissima rarità.
Bibliografia
C. Hülsen, Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri (1921), n. 31/a; cfr. B. Rubach, Ant. Lafreri Formis Romae (2016), n. 289; cfr. A. Alberti, L’indice di Antonio Lafrery (2010), n. 56; Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento (2016), n. IV.18; cfr. D. Woodward, Catalogue of watermarks in Italian printed maps 1540 – 1600 (1996); Le Blanc C., Manuel de l'amateur d'estampes, n. 424; The Illustrated Bartsch, n. 418.
Enea VICO (Parma 1523 - Ferrara 1567)
Enea, figlio di Francesco, è antiquario, disegnatore, incisore e numismatico. Nasce a Parma il 19 gennaio 1523 e non nel 1521 come stabilisce l’Huber. Dopo aver acquisito una prima formazione letteraria e artistica in questa città, e forse conosciuto i principi del disegno alla scuola di Giulio Romano, Enea si trasferisce a Roma nel 1541. Nella città pontificia Enea lavora per Tommaso Barlacchi, lo stampatore che compare al suo fianco come incisore in una serie di grottesche edite nel 1542. Nel clima classicheggiante ed erudito della città, il suo stile si affina sui modelli di Perin del Vaga e di Francesco Salviati, pur sempre interpretati secondo la lezione di Parmigianino. Entro il V decennio del secolo il Vico, dopo aver assimilato la lezione dei grandi maestri, Marcantonio, Agostino Veneziano, Caraglio, Bonasone, acquisisce uno stile personale che lo porta a realizzare le sue stampe migliori. Lasciata Roma per Venezia, il Vico soggiorna a Firenze presso Cosimo I prima di stabilirsi a Venezia dove, a detta del Vasari, era andato nel 1557. Successivamente nel 1563 passa al servizio di Alfonso d’Este a Ferrara rimanendovi fino alla morte avvenuta il 17 agosto 1567. Di Vico rimangono circa 500 incisioni a bulino: ritratti, serie di vasi antichi, gemme e cammei, incisioni da opere di Raffaello, Michelangelo, Salviati, ecc.; la raccolta Le immagini delle donne auguste (tratte da medaglie romane, 1557). La sua fama di numismatico trova conferma nei volumi Immagini con tutti i riversi trovati et le vite degli imperatori (1548); Discorsi sopra le medaglie degli antichi (1555); Commentari alle antiche medaglie degli imperatori romani (1560).
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Enea VICO (Parma 1523 - Ferrara 1567)
Enea, figlio di Francesco, è antiquario, disegnatore, incisore e numismatico. Nasce a Parma il 19 gennaio 1523 e non nel 1521 come stabilisce l’Huber. Dopo aver acquisito una prima formazione letteraria e artistica in questa città, e forse conosciuto i principi del disegno alla scuola di Giulio Romano, Enea si trasferisce a Roma nel 1541. Nella città pontificia Enea lavora per Tommaso Barlacchi, lo stampatore che compare al suo fianco come incisore in una serie di grottesche edite nel 1542. Nel clima classicheggiante ed erudito della città, il suo stile si affina sui modelli di Perin del Vaga e di Francesco Salviati, pur sempre interpretati secondo la lezione di Parmigianino. Entro il V decennio del secolo il Vico, dopo aver assimilato la lezione dei grandi maestri, Marcantonio, Agostino Veneziano, Caraglio, Bonasone, acquisisce uno stile personale che lo porta a realizzare le sue stampe migliori. Lasciata Roma per Venezia, il Vico soggiorna a Firenze presso Cosimo I prima di stabilirsi a Venezia dove, a detta del Vasari, era andato nel 1557. Successivamente nel 1563 passa al servizio di Alfonso d’Este a Ferrara rimanendovi fino alla morte avvenuta il 17 agosto 1567. Di Vico rimangono circa 500 incisioni a bulino: ritratti, serie di vasi antichi, gemme e cammei, incisioni da opere di Raffaello, Michelangelo, Salviati, ecc.; la raccolta Le immagini delle donne auguste (tratte da medaglie romane, 1557). La sua fama di numismatico trova conferma nei volumi Immagini con tutti i riversi trovati et le vite degli imperatori (1548); Discorsi sopra le medaglie degli antichi (1555); Commentari alle antiche medaglie degli imperatori romani (1560).
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