Urbis Romae Descriptio

Riferimento: S45000
Autore Antonio LAFRERI
Anno: 1555
Zona: Roma
Misure: 855 x 520 mm
Non Disponibile

Riferimento: S45000
Autore Antonio LAFRERI
Anno: 1555
Zona: Roma
Misure: 855 x 520 mm
Non Disponibile

Descrizione

Bulino, 1555, firmato in basso a destra.

Pianta prospettica di Roma, a proiezione obliqua, dal monte Gianicolo. Incisa da Jacob Bos su disegno di Hughes Pinard e pubblicata dall’editore Antonio Salamanca. Esemplare nel secondo stato di due stampato da Antonio Lafreri.

In alto al centro, in un cartiglio, è inciso il titolo: URBIS ROMAE DESCRIPTIO. Nel primo riquadro in basso a sinistra, lungo il bordo inferiore, si trova la dedica: Illustrissimo atq[ue] integerrimo Mecenati suo Georgio Card: Armeniaco. Ne prorsus etiosus Romae viverem (Mecaena sopt) operepretium me factarum putavi, si veram Urbis imaginem voluptati co[m]moditatiq[ue] publicae exprimendam curarem. Id simne consecutus hoc meo labore, tuae erit prudentiae indicare Scorsum Catalogum rerum celebrium per notas designavimus, ut facile quisq[ue] possit per elementa alphabetica et numeros omnia dignoscere. Id totum ausi sumus tuae Illustriss. Amplitudini dedicare, suppliciterq[ue] orare, ut boni ae quiq[ue] consulas. Romae Idib. Novemb. MDLV. Tibi, tuis q[ue] Detitiss. & obstrictiss. Cliens Hugo Pinardus Cabilonen. Segue, sempre nel bordo inferiore, una legenda alfanumerica (A-T e 1-96) di 114 rimandi a luoghi e monumenti notabili, distribuita su dodici colonne. Nell’ultimo riquadro, in basso a destra, si legge: Quam plurima hic notatu digniss. brevitati studentes tacenda putavimus EX TYPIS ET DILIGENTIA ANT. SALAMANCAE e la firma Iac. Bossius Belga in aes incidebat. Nella tavola sono presenti ulteriori indicazioni toponomastiche. Opera priva di orientazione e scala grafica. 

“Pianta prospettica della città, presa dal monte Gianicolo. Disegnata dal francese Hugues Pinard, viene incisa da Jocob Bos per la tipografia di Antonio Salamanca. La pianta è orientata con il nord sulla sinistra e mostra con buona approssimazione anche i colli Albani, la cui toponomastica deriva dalla Campagna di Roma di Eufrosino della Volpaia del 1547. La dedica del Pinard è al cardinale Giorgio d’Armagnac. La città è rappresentata a volo d’uccello da un punto di vista sollevato sulla perpendicolare del Gianicolo, tanto da rendere leggibile il tracciato stradale. Il risultato è una veduta dal grande contenuto descrittivo, ma anche d’indubbio effetto pittorico. Il tessuto viario e gli edifici principali sono chiaramente riconoscibili; per la prima volta sono ben descritte le costruzioni della Roma contemporanea, che si fondono con i ruderi della Città antica, pure raffigurati in modo fedele. Questo modello di rappresentazione della città sarà la base delle piante a stampa per oltre due secoli, influenzando anche la produzione del nord Europa. Il secondo stato della lastra, invariato, reca l’imprint di Antonio Lafreri. L’opera è descritta nel catalogo dell’editore (n. 114) come “Roma moderna”. Il cartiglio con il titolo mostra una abrasione in tutti gli esemplari che abbiamo visionato. Probabilmente si tratta di un ripensamento originario, in fase di incisione; in alternativa potrebbe esistere uno stato antecedente della lastra con un differente titolo, che però ad oggi è sconosciuto. Secondo Ehrle, poi seguito da Hülsen (1921), la lastra venne ereditata da Claudio Duchetti e compare nell’inventario di Giacomo Gherardi, descritta come “Roma anticha e moderna di tre fogli, grande”. Potrebbe essere quindi possibile una tiratura successiva della lastra, ad oggi sconosciuta. Nell’inventario della vedova di Gherardi, del 17 ottobre 1598, l’unica matrice che potrebbe identificare questa pianta è quella descritta (n. 1) come Roma moderna imperiale” (cfr. Cartografia e topografia italiana del XVI secolo, p. 2378).

Magnifica prova, ricca di toni, impressa su carta vergata coeva, rifilata al rame o con sottili margini, minimi restauri alla piega centrale e nella parte destra della pianta perfettamente eseguiti, per il resto in ottimo stato di conservazione.

L’opera appartiene allo Speculum Romanae Magnificentiae, la prima iconografia della Roma antica. La lastra figura nell'Indice del Lafreri al n. 236, descritta come Statua di Laochon in Belvedere.

Lo Speculum ebbe origine nelle attività editoriali di Antonio Salamanca e Antonio Lafreri (Lafrery). Durante la loro carriera editoriale romana, i due editori - che hanno lavorato insieme tra il 1553 e il 1563 - hanno avviato la produzione di stampe di architettura, statuaria e vedutistica della città legate alla Roma antica e moderna. Le stampe potevano essere acquistate individualmente da turisti e collezionisti, ma venivano anche acquistate in gruppi più grandi che erano spesso legati insieme in un album. Nel 1573, Lafreri commissionò a questo scopo un frontespizio, dove compare per la prima volta il titolo Speculum Romanae Magnificentiae. Alla morte di Lafreri, due terzi delle lastre di rame esistenti andarono alla famiglia Duchetti (Claudio e Stefano), mentre un altro terzo fu distribuito tra diversi editori. Claudio Duchetti continuò l’attività editoriale, implementando le lastre dello Speculum con copie di quelle “perdute” nella divisione ereditaria, che fece incidere al milanese Amborgio Brambilla. Alla morte di Claudio (1585) le lastre furono cedute – dopo un breve periodo di pubblicazione degli eredi, in particolare nella figura di Giacomo Gherardi - a Giovanni Orlandi, che nel 1614 vendette la sua tipografia al fiammingo Hendrick van Schoel. Stefano Duchetti, al contrario, cedette le proprie matrici all’editore Paolo Graziani, che si associò con Pietro de Nobili; il fondo confluì nella tipografia De Rossi passando per le mani di editori come Marcello Clodio, Claudio Arbotti e Giovan Battista de Cavalleris. Il restante terzo di matrici della divisione Lafreri fu suddiviso e scisso tra diversi editori, in parte anche francesi: curioso vedere come alcune tavole vengano ristampate a Parigi da Francois Jollain alla metà del XVII secolo. Diverso percorso ebbero alcune lastre stampate da Antonio Salamanca nel suo primo periodo; attraverso il figlio Francesco, confluirono nella tipografia romana di Nicolas van Aelst. Altri editori che contribuirono allo Speculum furono i fratelli Michele e Francesco Tramezzino (autori di numerose lastre che confluirono in parte nella tipografia Lafreri), Tommaso Barlacchi, e Mario Cartaro, che fu l’esecutore testamentario del Lafreri, e stampò alcune lastre di derivazione. Per l’intaglio dei rami vennero chiamati a Roma e impiegati tutti i migliori incisori dell’epoca quali Nicola Beatrizet (Beatricetto), Enea Vico, Etienne Duperac, Ambrogio Brambilla e altri ancora.

Questo marasma e intreccio di editori, incisori e mercanti, il proliferare di botteghe calcografiche ed artigiani ha contribuito a creare il mito dello Speculum Romanae Magnificentiae, la più antica e importante iconografia della città eterna. Il primo studioso che ha cercato di analizzare sistematicamente la produzione a stampa delle tipografie romane del XVI secolo è stato Christian Hülsen, con il suo Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri del 1921. In epoca più recente, molto importanti sono stati gli studi di Peter Parshall (2006) Alessia Alberti (2010), Birte Rubach e Clemente Marigliani (2016). Le nostre schede sono elaborazioni ispirate principalmente da queste quattro pubblicazioni, integrate da commenti e correzioni per quanto non ci convince e ci è noto.  

Rarissima.

Bibliografia

Bifolco-Ronca, Cartografia e topografia italiana del XVI secolo (2018): pp. 2378-79, tav. 1224; C. Hülsen, Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri (1921), n. 2/a; Peter Parshall, Antonio Lafreri's 'Speculum Romanae Magnificentiae, in “Print Quarterly”, 1 (2006); B. Rubach, Ant. Lafreri Formis Romae (2016), n. 255, I/II; A. Alberti, L’indice di Antonio Lafrery (2010), n. 36, stato unico; Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento (2016), n. XI.1; cfr. D. Woodward, Catalogue of watermarks in Italian printed maps 1540 – 1600 (1996); Ehrle (1908): p. 48, n. 384; Frutaz (1962): n.CXII e tav. 223; Hülsen (1915): IV, pp. 45-46, n. 17; Hülsen (1933): p. 105, IV, n. 16d; Marigliani (2005): p. 123; Marigliani (2007): n. 39; Rocchi (1902): cfr. pp. 46-51 e tav. IV; Roma Veduta (2000): n. 8; Pagani (2012): p. 83; Scaccia Scarafoni (1939): p. 83, n. 145-146; Tooley (1939): nn. 486, 493; Borroni Salvadori (1980): n. 267; Cartografia Rara (1986): n. 110; Castellani (1876): n. 130; Destombes (1970): n. 101; Ruge (1904-16): IV, n. 90.92.

Antonio LAFRERI (Orgelet 1512 - Roma 1577)

Antoine de Lafrery, meglio conosciuto con la forma italianizzata del nome Antonio Lafreri (1512 - 1577), era nativo di Orgelet, come riporta la sua iscrizione sepolcrale, e si trasferì a Roma intorno al 1540, dove lavorò in qualità di mercante ed editore di stampe. La sua bottega in via di Parione per quasi mezzo secolo (1544 - 1577) fu il punto di riferimento per questo tipo di commercio. Lafreri si formò nell’officina di Antonio Salamanca, un milanese che si trasferì a Roma dopo il Sacco del 1527. Già nel 1544 iniziò a pubblicare a suo nome, come dimostrano due stampe: la Colonna Traiana e Il sacrificio di Abele, che recano la sottoscrizione Ant. Lafrerij sequani formis Romae 1544. Non è dimostrabile se sia stato anche incisore, come si potrebbe dedurre da un atto notarile del 23 dicembre 1580, che parla dell’eredità quondam Antonii Lafrerii incisoris e stampatoris in Urbe; in ogni caso, questa attività fu certamente di minore rilevanza in confronto a quella primaria di commerciante e stampatore. Non è un caso, infatti, che quasi tutte le stampe a lui riconducibili siano firmate Antonii Lafrerij formis, espressione che lo qualifica editore e proprietario dei rami, ma non anche incisore. Un avvenimento fondamentale nella carriera del Lafreri è la costituzione, nel 1553, di una società con Antonio Salamanca. È indubbio che Lafreri - dotato probabilmente di maggiore carisma e spirito imprenditoriale - esercitò sempre il ruolo di leader. Alla morte del Salamanca, nel 1562, subentrò il figlio Francesco, ma il sodalizio si sciolse l’anno seguente e i rami del Salamanca furono acquistati da Lafreri per la somma di circa 3.000 scudi. L’editore continuò ad incrementare il suo commercio producendo stampe di soggetto religioso, mitologico e di antichità, ma anche carte geografiche e libri illustrati. Nella bottega al Parione vi passarono i più importanti incisori del tempo: Mario Cartaro, Nicolas Beatrizet, Enea Vico ed altri. Aveva contatti anche con altri centri editoriali: Venezia - come provano sia le richieste di privilegio al Senato, sia la presenza di suoi rami in edizioni veneziane - ma anche Siena. La sua raccolta di carte geografiche, riunita con un frontespizio dal titolo Tavole moderne di geografia, veniva assemblata da o per il singolo cliente; pertanto, le raccolte di carte geografiche lafreriane risultano, per numero, formato e tipologia di stampe, sempre diverse tra loro. Lafreri morì il 20 luglio 1577 e fu tumulato nella chiesa di San Luigi dei Francesi; non avendo lasciato disposizioni testamentarie, il suo patrimonio di rami fu diviso tra i suoi parenti più prossimi, Claudio e Stefano Duchetti, per poi essere acquistati da diversi stampatori.

Antonio LAFRERI (Orgelet 1512 - Roma 1577)

Antoine de Lafrery, meglio conosciuto con la forma italianizzata del nome Antonio Lafreri (1512 - 1577), era nativo di Orgelet, come riporta la sua iscrizione sepolcrale, e si trasferì a Roma intorno al 1540, dove lavorò in qualità di mercante ed editore di stampe. La sua bottega in via di Parione per quasi mezzo secolo (1544 - 1577) fu il punto di riferimento per questo tipo di commercio. Lafreri si formò nell’officina di Antonio Salamanca, un milanese che si trasferì a Roma dopo il Sacco del 1527. Già nel 1544 iniziò a pubblicare a suo nome, come dimostrano due stampe: la Colonna Traiana e Il sacrificio di Abele, che recano la sottoscrizione Ant. Lafrerij sequani formis Romae 1544. Non è dimostrabile se sia stato anche incisore, come si potrebbe dedurre da un atto notarile del 23 dicembre 1580, che parla dell’eredità quondam Antonii Lafrerii incisoris e stampatoris in Urbe; in ogni caso, questa attività fu certamente di minore rilevanza in confronto a quella primaria di commerciante e stampatore. Non è un caso, infatti, che quasi tutte le stampe a lui riconducibili siano firmate Antonii Lafrerij formis, espressione che lo qualifica editore e proprietario dei rami, ma non anche incisore. Un avvenimento fondamentale nella carriera del Lafreri è la costituzione, nel 1553, di una società con Antonio Salamanca. È indubbio che Lafreri - dotato probabilmente di maggiore carisma e spirito imprenditoriale - esercitò sempre il ruolo di leader. Alla morte del Salamanca, nel 1562, subentrò il figlio Francesco, ma il sodalizio si sciolse l’anno seguente e i rami del Salamanca furono acquistati da Lafreri per la somma di circa 3.000 scudi. L’editore continuò ad incrementare il suo commercio producendo stampe di soggetto religioso, mitologico e di antichità, ma anche carte geografiche e libri illustrati. Nella bottega al Parione vi passarono i più importanti incisori del tempo: Mario Cartaro, Nicolas Beatrizet, Enea Vico ed altri. Aveva contatti anche con altri centri editoriali: Venezia - come provano sia le richieste di privilegio al Senato, sia la presenza di suoi rami in edizioni veneziane - ma anche Siena. La sua raccolta di carte geografiche, riunita con un frontespizio dal titolo Tavole moderne di geografia, veniva assemblata da o per il singolo cliente; pertanto, le raccolte di carte geografiche lafreriane risultano, per numero, formato e tipologia di stampe, sempre diverse tra loro. Lafreri morì il 20 luglio 1577 e fu tumulato nella chiesa di San Luigi dei Francesi; non avendo lasciato disposizioni testamentarie, il suo patrimonio di rami fu diviso tra i suoi parenti più prossimi, Claudio e Stefano Duchetti, per poi essere acquistati da diversi stampatori.