Forma Templi D. Petri in Vaticano

Riferimento: S46545
Autore Antonio LABACCO
Anno: 1548
Zona: San Pietro
Luogo di Stampa: Roma
Misure: 415 x 350 mm
Non Disponibile

Riferimento: S46545
Autore Antonio LABACCO
Anno: 1548
Zona: San Pietro
Luogo di Stampa: Roma
Misure: 415 x 350 mm
Non Disponibile

Descrizione

Rappresentazione frontale del progetto di Antonio Sangallo per la Basilica di San Pietro, ideata e disegnata da Antonio Labacco, incisa da Baldo Perugino e pubblicata a Roma da Antonio Salamanca nel 1548.

Acquaforte e bulino, impressa su carta vergata coeva con filigrana non leggibile, sottili margini, in ottimo stato di conservazione.

Titolo e dettagli editoriali sono incisi in lastra: 'Forma Templi . d . Petri in Vaticano / Antonius. S. Galli inventor / Antonius Labaccus eius discip effector' and below 'Cum gratia et privilegio / Ant. Sal. excudebat Romae MDXLVIII'.

La tavola appartiene ad una serie di quattro incisioni tratte dal modello di Antonio da Sangallo realizzato quale progetto per la costruzione della Basilica di San Pietro. Il Sangallo fu nominato architetto della nuova Basilica di San Pietro nel 1536, da papa Paolo III, dopo che i lavori erano stati sospesi con il sacco di Roma nel 1527. L'impegno seguito a questo incarico sortì un grande modello ligneo tuttora conservato presso la Fabbrica di San Pietro. L'incisione riproduce quel modello dove il ruolo dichiarato di Labacco come allievo e "effector" del Sangallo si riferisce probabilmente alla realizzazione del modello in legno o al disegno utilizzato per l'incisione, non si conoscono infatti opere incise di Labacco. Il progetto del Sangallo fu abbandonato con la morte di lui avvenuta nel 1546, dopodiché il progetto per la fabbrica fu affidato da Paolo III a Michelangelo.

I primi esemplari della serie longitudinale datano al 1545; non è menzionato l’incisore anche se Alfredo Petrucci sottolinea basandosi su un brano del Vasari che «nessuno sospettò che potesse esserci a Roma, come c’era un incisore qualificato di nome Baldo Perogini, o Perosini, della cui opera si poteva essere servito il Labacco e del quale ci parlano inequivocabilmente i documenti». Il primo a far conoscere a mezzo delle stampe le opere di architettura fu Sebastiano Serlio nel suo Libro delle antichità di Roma edito a Venezia nel 1540. Da quel momento l’incisione divenne un mezzo di propaganda per divulgare e sostenere il progetto di un architetto. La stampa concorda sostanzialmente con il modello ligneo conservato in Vaticano, il più grande e più antico modello ligneo della basilica di San Pietro. Basti pensare che per la sua realizzazione vennero impiegati quattro anni ed il costo dell’opera superò i 5000 ducati. L’incisione ha il pregio di evidenziare particolari decorativi che nel modello non figurano.

“In questo prospetto le finestre sono più numerose del modello ligneo. La rappresentazione in alzato nasconde l’isolamento dei campanili e di conseguenza non evidenzia la posizione avanzata della campata centrale. L’interno della loggia è invece riprodotto come il modello ligneo. Il progetto del Sangallo tendeva a raggiungere un compromesso tra la pianta centrale e quella a croce latina. Nell’incisione allo stemma di Paolo III Farnese (1534-1549) si affianca lo stemma che simboleggia lo Stato Pontificio” (cfr Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento).

L’opera appartiene allo Speculum Romanae Magnificentiae, la prima iconografia della Roma antica.

Lo Speculum ebbe origine nelle attività editoriali di Antonio Salamanca e Antonio Lafreri (Lafrery). Durante la loro carriera editoriale romana, i due editori - che hanno lavorato insieme tra il 1553 e il 1563 - hanno avviato la produzione di stampe di architettura, statuaria e vedutistica della città legate alla Roma antica e moderna. Le stampe potevano essere acquistate individualmente da turisti e collezionisti, ma venivano anche acquistate in gruppi più grandi che erano spesso legati insieme in un album. Nel 1573, Lafreri commissionò a questo scopo un frontespizio, dove compare per la prima volta il titolo Speculum Romanae Magnificentiae. Alla morte di Lafreri, due terzi delle lastre di rame esistenti andarono alla famiglia Duchetti (Claudio e Stefano), mentre un altro terzo fu distribuito tra diversi editori. Claudio Duchetti continuò l’attività editoriale, implementando le lastre dello Speculum con copie di quelle “perdute” nella divisione ereditaria, che fece incidere al milanese Amborgio Brambilla. Alla morte di Claudio (1585) le lastre furono cedute – dopo un breve periodo di pubblicazione degli eredi, in particolare nella figura di Giacomo Gherardi - a Giovanni Orlandi, che nel 1614 vendette la sua tipografia al fiammingo Hendrick van Schoel. Stefano Duchetti, al contrario, cedette le proprie matrici all’editore Paolo Graziani, che si associò con Pietro de Nobili; il fondo confluì nella tipografia De Rossi passando per le mani di editori come Marcello Clodio, Claudio Arbotti e Giovan Battista de Cavalleris. Il restante terzo di matrici della divisione Lafreri fu suddiviso e scisso tra diversi editori, in parte anche francesi: curioso vedere come alcune tavole vengano ristampate a Parigi da Francois Jollain alla metà del XVII secolo. Diverso percorso ebbero alcune lastre stampate da Antonio Salamanca nel suo primo periodo; attraverso il figlio Francesco, confluirono nella tipografia romana di Nicolas van Aelst. Altri editori che contribuirono allo Speculum furono i fratelli Michele e Francesco Tramezzino (autori di numerose lastre che confluirono in parte nella tipografia Lafreri), Tommaso Barlacchi, e Mario Cartaro, che fu l’esecutore testamentario del Lafreri, e stampò alcune lastre di derivazione. Per l’intaglio dei rami vennero chiamati a Roma e impiegati tutti i migliori incisori dell’epoca quali Nicola Beatrizet (Beatricetto), Enea Vico, Etienne Duperac, Ambrogio Brambilla e altri ancora.

Questo marasma e intreccio di editori, incisori e mercanti, il proliferare di botteghe calcografiche ed artigiani ha contribuito a creare il mito dello Speculum Romanae Magnificentiae, la più antica e importante iconografia della città eterna. Il primo studioso che ha cercato di analizzare sistematicamente la produzione a stampa delle tipografie romane del XVI secolo è stato Christian Hülsen, con il suo Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri del 1921. In epoca più recente, molto importanti sono stati gli studi di Peter Parshall (2006) Alessia Alberti (2010), Birte Rubach e Clemente Marigliani (2016). Le nostre schede sono elaborazioni ispirate principalmente da queste quattro pubblicazioni, integrate da commenti e correzioni per quanto non ci convince e ci è noto. 

Bibliografia

C. Hülsen, Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri (1921), n. 144; Peter Parshall, Antonio Lafreri's 'Speculum Romanae Magnificentiae, in “Print Quarterly”, 1 (2006); A. Alberti, L’indice di Antonio Lafrery (2010), n. 157; Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento (2016), n. VIII.6; D. Woodward, Catalogue of watermarks in Italian printed maps 1540 – 1600 (1996); A. Petrucci, 1964, n. 74, p. 98.

Antonio LABACCO (Vercelli, 1495 – Roma, 1570)

Architetto italiano anche noto come dell'Abacco, L'Abacco, Labàco, Abbaco e Abacco. Nacque a Vercelli, probabilmente intorno al 1495. La formazione del Labacco iniziò, non ancora ventenne, presso Donato Bramante; ne danno testimonianza alcuni disegni conservati agli Uffizi, databili al tempo di Giulio II. Successivamente lavorò nello studio di Antonio da Sangallo il Giovane, che il Labacco ricorda come suo maestro e con il quale collaborò in qualità di disegnatore per alcuni progetti, fra cui quello di S. Maria di Monserrato (1518-20), di S. Giovanni dei Fiorentini (1518-19) e nel rilievo di diversi edifici antichi. Il L. acquisì quindi abilità nel rilievo e nel disegno e anche competenze come maestro di legname. Queste sue capacità fecero decidere al Sangallo di portarlo con sé, quando nella primavera del 1526 Clemente VII lo invitò, con Giuliano Leno, Pierfrancesco da Viterbo e Michele Sanmicheli, a verificare lo stato delle rocche di Romagna e a provvedere alle fortificazioni di Parma e Piacenza. Nonostante sembri non essere un architetto progettista di opere autonome, il L. doveva possedere una notevole pratica professionale quando intraprese il lavoro del modello ligneo della basilica di S. Pietro del progetto elaborato da Antonio da Sangallo il Giovane per conto di Paolo III. Al 1542 risale la fondazione della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon. Accanto al nome di Antonio da Sangallo (primo presidente) e a quello di altri rappresentanti del mondo artistico dell'epoca, compare quello del L., che fu il primo a ricoprire il ruolo di segretario. Tra il 6 e il 30 maggio 1544 egli fu ancora impegnato in diversi lavori eseguiti per la Fabbrica di S. Pietro. Il 30 nov. 1546, a quattro mesi dalla morte di Antonio da Sangallo, il L. venne licenziato da Michelangelo. Il grande modello, costato a lui e ai suoi aiutanti sette anni di fatiche e alle casse della congregazione della Fabbrica oltre 4500 scudi, era ormai completato ma divenne inutile, deprecato perché costoso e fatto oggetto di irrisione per i caratteri della sua architettura. A ricordo del progetto del Sangallo, i principali disegni, che dovevano essere serviti per approntarlo - la pianta, la sezione longitudinale, il prospetto laterale, la facciata -, furono tradotti in grandi e accurate incisioni, stampate negli anni 1548-49. Inserite nello Speculum Romanae magnificentiae con dedica a Paolo III erano riprodotte, in scala, in proiezioni ortogonali. Il L. compariva come "effector", cioè presumibilmente autore dei disegni, e forse delle matrici su rame che Antonio Salamanca "excudebat", come editore, stampatore e probabile venditore. Dopo l'allontanamento dalla Fabbrica di S. Pietro, i contatti con Salamanca lo arricchirono probabilmente di esperienza nel campo della stampa di disegni.

Antonio LABACCO (Vercelli, 1495 – Roma, 1570)

Architetto italiano anche noto come dell'Abacco, L'Abacco, Labàco, Abbaco e Abacco. Nacque a Vercelli, probabilmente intorno al 1495. La formazione del Labacco iniziò, non ancora ventenne, presso Donato Bramante; ne danno testimonianza alcuni disegni conservati agli Uffizi, databili al tempo di Giulio II. Successivamente lavorò nello studio di Antonio da Sangallo il Giovane, che il Labacco ricorda come suo maestro e con il quale collaborò in qualità di disegnatore per alcuni progetti, fra cui quello di S. Maria di Monserrato (1518-20), di S. Giovanni dei Fiorentini (1518-19) e nel rilievo di diversi edifici antichi. Il L. acquisì quindi abilità nel rilievo e nel disegno e anche competenze come maestro di legname. Queste sue capacità fecero decidere al Sangallo di portarlo con sé, quando nella primavera del 1526 Clemente VII lo invitò, con Giuliano Leno, Pierfrancesco da Viterbo e Michele Sanmicheli, a verificare lo stato delle rocche di Romagna e a provvedere alle fortificazioni di Parma e Piacenza. Nonostante sembri non essere un architetto progettista di opere autonome, il L. doveva possedere una notevole pratica professionale quando intraprese il lavoro del modello ligneo della basilica di S. Pietro del progetto elaborato da Antonio da Sangallo il Giovane per conto di Paolo III. Al 1542 risale la fondazione della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon. Accanto al nome di Antonio da Sangallo (primo presidente) e a quello di altri rappresentanti del mondo artistico dell'epoca, compare quello del L., che fu il primo a ricoprire il ruolo di segretario. Tra il 6 e il 30 maggio 1544 egli fu ancora impegnato in diversi lavori eseguiti per la Fabbrica di S. Pietro. Il 30 nov. 1546, a quattro mesi dalla morte di Antonio da Sangallo, il L. venne licenziato da Michelangelo. Il grande modello, costato a lui e ai suoi aiutanti sette anni di fatiche e alle casse della congregazione della Fabbrica oltre 4500 scudi, era ormai completato ma divenne inutile, deprecato perché costoso e fatto oggetto di irrisione per i caratteri della sua architettura. A ricordo del progetto del Sangallo, i principali disegni, che dovevano essere serviti per approntarlo - la pianta, la sezione longitudinale, il prospetto laterale, la facciata -, furono tradotti in grandi e accurate incisioni, stampate negli anni 1548-49. Inserite nello Speculum Romanae magnificentiae con dedica a Paolo III erano riprodotte, in scala, in proiezioni ortogonali. Il L. compariva come "effector", cioè presumibilmente autore dei disegni, e forse delle matrici su rame che Antonio Salamanca "excudebat", come editore, stampatore e probabile venditore. Dopo l'allontanamento dalla Fabbrica di S. Pietro, i contatti con Salamanca lo arricchirono probabilmente di esperienza nel campo della stampa di disegni.