Vera Antiqui Capitolii Descriptio
Riferimento: | S11230 |
Autore | Antonio SALAMANCA |
Anno: | 1550 ca. |
Zona: | Campidoglio |
Luogo di Stampa: | Roma |
Misure: | 890 x 430 mm |
Riferimento: | S11230 |
Autore | Antonio SALAMANCA |
Anno: | 1550 ca. |
Zona: | Campidoglio |
Luogo di Stampa: | Roma |
Misure: | 890 x 430 mm |
Descrizione
Straordinaria ricostruzione fantastica del Campidoglio, stampata su tre lastre ed edita per la prima volta dal Salamanca circa nel 1550. L’esemplare che qui presentiamo reca l’indirizzo degli eredi di Claude Duchet (Duchetti) e la data 1591.
Iscritto in basso al centro: «VERA ANTIQVI CAPITOLII DESCRIPTIO» [Fedele descrizione dell’antico Campidoglio]. Iscritto in basso al centro: «Apud eredes Claudij duchetij, 1591». In basso a sinistra abrasione di «Antonio Salamanca Excudit», a destra abrasione di «VERA ANTIQVI CAPITOLII DESCRIPTIO» .
La composizione somiglia ai disegni modenesi del Marcanova, soprattutto nella ricostruzione del Campidoglio e nella raffigurazione dei palazzi di Cicerone e Crasso. Tuttavia, i particolari dell’incisione dimostrano una conoscenza più matura dell’architettura antica.
La rappresentazione del Campidoglio si ispira alle ricostruzioni ideali dell’antica Roma dei disegni del Marcanova, e risente delle decorazioni sceniche allestite per gli spettacoli teatrali, molto frequenti nel Rinascimento: “L’influenza che hanno avuto sugli artisti del periodo seguente è rimasta abbastanza limitata. Ma questo in gran parte dipende dal fatto che il codice Marcanova appena terminato trovò posto nella biblioteca di un convento, nella quale, appunto per la sua preziosità, rimase accessibile a pochi studiosi. Nondimeno, ricostruzioni ideali dell’antica Roma nello stile dei disegni marcanoviani si trovano anche nei tempi seguenti, fino alla metà del Cinquecento” (C. Hülsen).
La prima edizione di queste tre stampe fu incisa per i tipi di Antonio Salamanca (1550 ca.), e il soggetto ebbe un discreto successo, come dimostra la riedizione degli Eredi di Claude Duchet del 1591. L’incisione edita per i tipi eredi Duchet nasconde in realtà il nome di Giacomo Gherardi, cognato di Claude Duchet, da cui ereditò la bottega con la condizione di firmare le lastre Eredes Claudij Duchetij, come accade appunto nel nostro caso.
L’opera appartiene allo Speculum Romanae Magnificentiae, la prima iconografia della Roma antica.
Lo Speculum ebbe origine nelle attività editoriali di Antonio Salamanca e Antonio Lafreri (Lafrery). Durante la loro carriera editoriale romana, i due editori - che hanno lavorato insieme tra il 1553 e il 1563 - hanno avviato la produzione di stampe di architettura, statuaria e vedutistica della città legate alla Roma antica e moderna. Le stampe potevano essere acquistate individualmente da turisti e collezionisti, ma venivano anche acquistate in gruppi più grandi che erano spesso legati insieme in un album. Nel 1573, Lafreri commissionò a questo scopo un frontespizio, dove compare per la prima volta il titolo Speculum Romanae Magnificentiae. Alla morte di Lafreri, due terzi delle lastre di rame esistenti andarono alla famiglia Duchetti (Claudio e Stefano), mentre un altro terzo fu distribuito tra diversi editori. Claudio Duchetti continuò l’attività editoriale, implementando le lastre dello Speculum con copie di quelle “perdute” nella divisione ereditaria, che fece incidere al milanese Amborgio Brambilla. Alla morte di Claudio (1585) le lastre furono cedute – dopo un breve periodo di pubblicazione degli eredi, in particolare nella figura di Giacomo Gherardi - a Giovanni Orlandi, che nel 1614 vendette la sua tipografia al fiammingo Hendrick van Schoel. Stefano Duchetti, al contrario, cedette le proprie matrici all’editore Paolo Graziani, che si associò con Pietro de Nobili; il fondo confluì nella tipografia De Rossi passando per le mani di editori come Marcello Clodio, Claudio Arbotti e Giovan Battista de Cavalleris. Il restante terzo di matrici della divisione Lafreri fu suddiviso e scisso tra diversi editori, in parte anche francesi: curioso vedere come alcune tavole vengano ristampate a Parigi da Francois Jollain alla metà del XVII secolo. Diverso percorso ebbero alcune lastre stampate da Antonio Salamanca nel suo primo periodo; attraverso il figlio Francesco, confluirono nella tipografia romana di Nicolas van Aelst. Altri editori che contribuirono allo Speculum furono i fratelli Michele e Francesco Tramezzino (autori di numerose lastre che confluirono in parte nella tipografia Lafreri), Tommaso Barlacchi, e Mario Cartaro, che fu l’esecutore testamentario del Lafreri, e stampò alcune lastre di derivazione. Per l’intaglio dei rami vennero chiamati a Roma e impiegati tutti i migliori incisori dell’epoca quali Nicola Beatrizet (Beatricetto), Enea Vico, Etienne Duperac, Ambrogio Brambilla e altri ancora.
Questo marasma e intreccio di editori, incisori e mercanti, il proliferare di botteghe calcografiche ed artigiani ha contribuito a creare il mito dello Speculum Romanae Magnificentiae, la più antica e importante iconografia della città eterna. Il primo studioso che ha cercato di analizzare sistematicamente la produzione a stampa delle tipografie romane del XVI secolo è stato Christian Hülsen, con il suo Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri del 1921. In epoca più recente, molto importanti sono stati gli studi di Peter Parshall (2006) Alessia Alberti (2010), Birte Rubach e Clemente Marigliani (2016). Le nostre schede sono elaborazioni ispirate principalmente da queste quattro pubblicazioni, integrate da commenti e correzioni per quanto non ci convince e ci è noto.
Bulino, impresso su carta vergata coeva con filigrana “scudo con lettera M e stella”, rifilata irregolarmente al rame, lievi restauri perfettamente eseguiti nella parte superiore, nel complesso in ottimo stato di conservazione. Di grandissima rarità.
Bibliografia
C. HÜLSEN, 1907, p. 7; La Roma del Cinquecento nello Speculum Romanae Magnificentiae pp. 10, 135: Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento (2016), nn. II.26.
Antonio SALAMANCA (Milano ?, 1478 – Roma, 1562)
Incisore, stampatore e libraio, di origine milanese, si stabilì a Roma prima del 1527 e fu attivo già dal 1519. La sua bottega si trovava all’interno del rione Parione, cuore del mercato libraio romano.
Salamanca ebbe il merito di riuscire ad aggiornare la sua produzione ed a stampare quello che il mercato richiedeva al momento, si trattasse di vedute e piante di città, statue antiche, ritratti di personaggi importanti e un numero considerevole di vedute romane. Questi lavoro vennero affidati sia a incisori noti per le loro riconosciute qualità artistiche, sia a nuove figure di giovani incisori.
Antonio Salamanca trovatosi a Roma durante il Sacco (1527), ricercaò con molta cura, non solo per fini mercantili, i rami dispersi, restaurando quelli deteriorati e curando la ristampa delle vecchie lastre, permettendo la sopravvivenza fino a noi di importanti opere della tradizione calcografica italiana.
I rami di sua proprietà erano passati nelle mani del suo concorrente Antonio Lafréy, già presente sul mercato libraio romano dal 1544, con il quale il Salamanca decise di associarsi nel 1553 dopo diversi anni di accesa rivalità. Presumibilmente i due, una volta in società, unirono tutti i loro rami e la loro raccolta di incisioni per la stampa e per la vendita, rimanendo ognuno proprietario delle proprie cose.
Nel 1566 Antonio Salamanca e Antonio Lafrèry pubblicarono “Historia de la compocicion del cuerpo humano” di Joan de Valverde, con tavole incise da Beatricetto, e nel 1560 il Planisfero doppio cuoriforme, opere che in alcune copie presenta il nome del Salamanca sostituito da Lafréry.
Del 1555 è una pianta di Roma “ Urbis Romae Descriptio” incisa da Jacob Bos, e pubblicata nelle stesso anno anche da Lafréry. La sua opera maggiore è costituita dalle numerose incisioni che aveva preparato per lo Speculum romanae magnificentiae, pubblicato da Lafrery nel 1575.
Salamanca morì verso la metà del 1562 e, secondo accordi stabiliti precedentemente, alla società subentrò il figlio Francesco, ma per ragioni ancora poco chiare essa venne sciolta dopo solo un anno e tutto il materiale fu venduto a Lafréry.
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Antonio SALAMANCA (Milano ?, 1478 – Roma, 1562)
Incisore, stampatore e libraio, di origine milanese, si stabilì a Roma prima del 1527 e fu attivo già dal 1519. La sua bottega si trovava all’interno del rione Parione, cuore del mercato libraio romano.
Salamanca ebbe il merito di riuscire ad aggiornare la sua produzione ed a stampare quello che il mercato richiedeva al momento, si trattasse di vedute e piante di città, statue antiche, ritratti di personaggi importanti e un numero considerevole di vedute romane. Questi lavoro vennero affidati sia a incisori noti per le loro riconosciute qualità artistiche, sia a nuove figure di giovani incisori.
Antonio Salamanca trovatosi a Roma durante il Sacco (1527), ricercaò con molta cura, non solo per fini mercantili, i rami dispersi, restaurando quelli deteriorati e curando la ristampa delle vecchie lastre, permettendo la sopravvivenza fino a noi di importanti opere della tradizione calcografica italiana.
I rami di sua proprietà erano passati nelle mani del suo concorrente Antonio Lafréy, già presente sul mercato libraio romano dal 1544, con il quale il Salamanca decise di associarsi nel 1553 dopo diversi anni di accesa rivalità. Presumibilmente i due, una volta in società, unirono tutti i loro rami e la loro raccolta di incisioni per la stampa e per la vendita, rimanendo ognuno proprietario delle proprie cose.
Nel 1566 Antonio Salamanca e Antonio Lafrèry pubblicarono “Historia de la compocicion del cuerpo humano” di Joan de Valverde, con tavole incise da Beatricetto, e nel 1560 il Planisfero doppio cuoriforme, opere che in alcune copie presenta il nome del Salamanca sostituito da Lafréry.
Del 1555 è una pianta di Roma “ Urbis Romae Descriptio” incisa da Jacob Bos, e pubblicata nelle stesso anno anche da Lafréry. La sua opera maggiore è costituita dalle numerose incisioni che aveva preparato per lo Speculum romanae magnificentiae, pubblicato da Lafrery nel 1575.
Salamanca morì verso la metà del 1562 e, secondo accordi stabiliti precedentemente, alla società subentrò il figlio Francesco, ma per ragioni ancora poco chiare essa venne sciolta dopo solo un anno e tutto il materiale fu venduto a Lafréry.
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