Lupae Romulum et Remum Urbis Conditores Lactantis Antiquum AC Aeneum in Capitolio Signum
Riferimento: | S29106 |
Autore | Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO |
Anno: | 1552 |
Luogo di Stampa: | Roma |
Misure: | 345 x 260 mm |
Riferimento: | S29106 |
Autore | Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO |
Anno: | 1552 |
Luogo di Stampa: | Roma |
Misure: | 345 x 260 mm |
Descrizione
La Lupa con Romolo e Remo, bulino, 1552, inciso da Nicolas Beatrizet (Lunéville, 1515 ca. - Roma, 1565 ca.) per l'editore Antonio Lafréry (Orgelet, 1512 - Roma, 1577).
Magnifica prova, nel primo stato di quattro avanti l'indirizzo di Giovanni Orlandi, impressa du carta vergata coeva con filigrana "scudo con scala e stella", ampi margini, in perfetto stato di conservazione.
Iscritto sul piedistallo: «LVPAE ROMVLVM ET REMVM VRBIS CONDITORES LACTANTIS ANTIQVVM AC AENEVM IN CAPITOLIO SIGNVM» [Antica statua della lupa che allatta Romolo e Remo, fondatori dell’Urbe, conservata in Campidoglio].
Firmato in basso al centro: «ANT LAFRERII FORMIS ROMAE MDLII».
Le prime notizie di questo bronzo risalgono al X secolo. Era segnalato presso il Laterano e nel 1471 Sisto IV (1471-1484) lo fece trasferire al palazzo dei Conservatori. Nel 1490 Giovanni da Tolentino dà notizia dell’aggiunta dei gemelli Romolo e Remo. Il bronzo venne collocato al di sopra del palazzo dei Conservatori e nel 1544 fu trasferito all’interno. L’intero gruppo fu letto come opera antica, sino a quando J.J. Winckelmann osservò che le figure di Romolo e Remo erano posteriori. La stampa esercitò sempre una forte connotazione emotiva come simbolo per eccellenza della romanità, e quel simbolo fu molto conteso durante il XVIII e il XIX secolo tra rivoluzionari e conservatori. Il 22 settembre 1798, durante la Repubblica Romana, la lupa venne trasportata al teatro Pompeo di palazzo Spada come sfondo scenico alla rappresentazione di La Mort de César di Voltaire. Nel 1819, in piena restaurazione, la Lupa fu posta al centro della tavola per un banchetto dato al Campidoglio in onore dell’imperatore d’Austria e del suo primo ministro il principe Metternich. La Lupa ormai simboleggiava la sovranità pontificia. L’opera è oggi ritenuta un esemplare di bronzistica etrusca del V secolo a.C.
L’opera appartiene allo Speculum Romanae Magnificentiae, la prima iconografia della Roma antica. La lastra figura nell'Indice del Lafreri al n. 225, descritta come Lupa di bronzo con Romolo et Remo in Campidoglio.
Lo Speculum ebbe origine nelle attività editoriali di Antonio Salamanca e Antonio Lafreri (Lafrery). Durante la loro carriera editoriale romana, i due editori - che hanno lavorato insieme tra il 1553 e il 1563 - hanno avviato la produzione di stampe di architettura, statuaria e vedutistica della città legate alla Roma antica e moderna. Le stampe potevano essere acquistate individualmente da turisti e collezionisti, ma venivano anche acquistate in gruppi più grandi che erano spesso legati insieme in un album. Nel 1573, Lafreri commissionò a questo scopo un frontespizio, dove compare per la prima volta il titolo Speculum Romanae Magnificentiae. Alla morte di Lafreri, due terzi delle lastre di rame esistenti andarono alla famiglia Duchetti (Claudio e Stefano), mentre un altro terzo fu distribuito tra diversi editori. Claudio Duchetti continuò l’attività editoriale, implementando le lastre dello Speculum con copie di quelle “perdute” nella divisione ereditaria, che fece incidere al milanese Amborgio Brambilla. Alla morte di Claudio (1585) le lastre furono cedute – dopo un breve periodo di pubblicazione degli eredi, in particolare nella figura di Giacomo Gherardi - a Giovanni Orlandi, che nel 1614 vendette la sua tipografia al fiammingo Hendrick van Schoel. Stefano Duchetti, al contrario, cedette le proprie matrici all’editore Paolo Graziani, che si associò con Pietro de Nobili; il fondo confluì nella tipografia De Rossi passando per le mani di editori come Marcello Clodio, Claudio Arbotti e Giovan Battista de Cavalleris. Il restante terzo di matrici della divisione Lafreri fu suddiviso e scisso tra diversi editori, in parte anche francesi: curioso vedere come alcune tavole vengano ristampate a Parigi da Francois Jollain alla metà del XVII secolo. Diverso percorso ebbero alcune lastre stampate da Antonio Salamanca nel suo primo periodo; attraverso il figlio Francesco, confluirono nella tipografia romana di Nicolas van Aelst. Altri editori che contribuirono allo Speculum furono i fratelli Michele e Francesco Tramezzino (autori di numerose lastre che confluirono in parte nella tipografia Lafreri), Tommaso Barlacchi, e Mario Cartaro, che fu l’esecutore testamentario del Lafreri, e stampò alcune lastre di derivazione. Per l’intaglio dei rami vennero chiamati a Roma e impiegati tutti i migliori incisori dell’epoca quali Nicola Beatrizet (Beatricetto), Enea Vico, Etienne Duperac, Ambrogio Brambilla e altri ancora.
Questo marasma e intreccio di editori, incisori e mercanti, il proliferare di botteghe calcografiche ed artigiani ha contribuito a creare il mito dello Speculum Romanae Magnificentiae, la più antica e importante iconografia della città eterna. Il primo studioso che ha cercato di analizzare sistematicamente la produzione a stampa delle tipografie romane del XVI secolo è stato Christian Hülsen, con il suo Das Speculum Romanae Magnificentiae des Antonio Lafreri del 1921. In epoca più recente, molto importanti sono stati gli studi di Peter Parshall (2006) Alessia Alberti (2010), Birte Rubach e Clemente Marigliani (2016). Le nostre schede sono elaborazioni ispirate principalmente da queste quattro pubblicazioni, integrate da commenti e correzioni per quanto non ci convince e ci è noto.
Bibliografia
B. Rubach, Ant. Lafreri Formis Romae (2016), n. 309, I/Iii; A. Alberti, L’indice di Antonio Lafrery (2010), n. 66, I/IV; Marigliani, Lo splendore di Roma nell’Arte incisoria del Cinquecento (2016), V.67, I/IV; Bober/Rubinstein 1986, n 184; Nagler (Mon), IV, p. 733, n. 2322.20; Bianchi 2004-IV, p. 7, n. D 23; C. HÜLSEN, 1921, p. 152, 47, A; P. ARRIGONI - A. BERTARELLI, 1939, p. 321; F. HASKELL - N. PENNY, 1984, pp. 354-57; S. CORSI - P. RAGIONIERI, 2004, p. 21; C. FRUGONI, 2005, pp. 58-59; C. MARIGLIANI, 2005, p. 10; C. WITCOMBE, 2008, pp. 134, 136.
Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO Thionville 1515 circa - Roma 1565
Nicola o Niccolò Beatricetto o Beatrice o Beatici o Beatricius o Nicolas Beatrizet Lotharingus secondo il nome originale dell’incisore nativo nel 1515 c. in Francia a Thionville nella Lorena di cui inciderà la pianta nel 1557-58. Disegnatore e bulinista, Nicola è a Roma dal 1540, o già dal 1532 come supposto dal Gori Gandellini, dove frequenta la scuola di Marcantonio e Agostino Veneziano. Il Beatricetto si dimostra subito abile nel giusto equilibrio delle linee e dei punti e nella resa delle ombre e dei mezzi toni, tanto da divenire il capo degli incisori stranieri e dei vedutisti romani. Influenzato da Agostino Veneziano e da Giorgio Ghisi, il Beatricetto sceglie i suoi modelli in Raffaello e Michelangelo. Dal 1540 il lorenese lavora per Salamanca e dal 1541 fino al 1550 per Tommaso Barlacchi e dal 1548 per Antonio Lafrery che inserirà molte sue incisioni nello Speculum. Incisore di riproduzione per eccellenza, il lorenese traduce opere di Girolamo Muziano, oltre che di artisti minori, con scene sacre e mitologiche, architetture e palazzi secondo il gusto dell’epoca. Il Beatricetto muore a Roma nel 1565. Gli stati del secondo Cinquecento recano i nomi di Claude Duchet ed eredi, Paolo Graziani, Pietro dè Nobili; nel Seicento quelli di Giovanni Orlandi, Philipp Thomassin, Gio. Giacomo dè Rossi “alla pace” e Giovan battista dè Rossi “a piazza Navona”; nel settecento il nome di Carlo Losi. Il Bartsch attribuisce al lorenese 108 stampe; 114 il Robert-Dumesnil, il Passavant 120.
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Nicolas Beatrizet detto BEATRICETTO Thionville 1515 circa - Roma 1565
Nicola o Niccolò Beatricetto o Beatrice o Beatici o Beatricius o Nicolas Beatrizet Lotharingus secondo il nome originale dell’incisore nativo nel 1515 c. in Francia a Thionville nella Lorena di cui inciderà la pianta nel 1557-58. Disegnatore e bulinista, Nicola è a Roma dal 1540, o già dal 1532 come supposto dal Gori Gandellini, dove frequenta la scuola di Marcantonio e Agostino Veneziano. Il Beatricetto si dimostra subito abile nel giusto equilibrio delle linee e dei punti e nella resa delle ombre e dei mezzi toni, tanto da divenire il capo degli incisori stranieri e dei vedutisti romani. Influenzato da Agostino Veneziano e da Giorgio Ghisi, il Beatricetto sceglie i suoi modelli in Raffaello e Michelangelo. Dal 1540 il lorenese lavora per Salamanca e dal 1541 fino al 1550 per Tommaso Barlacchi e dal 1548 per Antonio Lafrery che inserirà molte sue incisioni nello Speculum. Incisore di riproduzione per eccellenza, il lorenese traduce opere di Girolamo Muziano, oltre che di artisti minori, con scene sacre e mitologiche, architetture e palazzi secondo il gusto dell’epoca. Il Beatricetto muore a Roma nel 1565. Gli stati del secondo Cinquecento recano i nomi di Claude Duchet ed eredi, Paolo Graziani, Pietro dè Nobili; nel Seicento quelli di Giovanni Orlandi, Philipp Thomassin, Gio. Giacomo dè Rossi “alla pace” e Giovan battista dè Rossi “a piazza Navona”; nel settecento il nome di Carlo Losi. Il Bartsch attribuisce al lorenese 108 stampe; 114 il Robert-Dumesnil, il Passavant 120.
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