Campagna Romana
Riferimento: | S42098 |
Autore | Vittorio AVONDO |
Anno: | 1870 ca. |
Misure: | 252 x 160 mm |
Riferimento: | S42098 |
Autore | Vittorio AVONDO |
Anno: | 1870 ca. |
Misure: | 252 x 160 mm |
Descrizione
Acquaforte, circa 1870, dimensioni 160 x 255 mm, impressa su carta coeva, in ottimo stato di conservazione. Firma a matita in basso a desta.
Dalla attivissima calcografia Lovera di Torino è stampata l'acquaforte di Vittorio Avondo, artista torinese che studiò a Pisa e Ginevra, per poi approdare al naturalismo morbido e sfumato di Fontanesi. Visse anche a Roma dal 1857 al 1865; forse di quel soggiorno resta un ricordo in questa acquaforte della campagna Romana (della quale esistono anche alcuni dipinti in collezione privata), splendido brano intriso di un'atmosfera elegiaca, malinconica, pervaso di una luce vibrante e sfumature delicate. Le acqueforti dell'artista che si conservano non sono molte, forse una decina.
Grande collezionista e conoscitore dell’arte medievale e moderna, oltre che pittore paesaggista, Avondo ebbe un ruolo fondamentale nella storia culturale del Piemonte contribuendo, insieme a Alfredo d’Andrade, allo studio e alla tutela del patrimonio artistico del territorio. Importante la sua figura anche per la GAM, egli fu infatti Direttore del Museo Civico di Torino per un lungo periodo, dal 1890 al 1910, e contribuì in modo significativo alla definizione della raccolta d’arte moderna accogliendo ad esempio la donazione delle opere di Antonio Fontanesi. La nascita in una famiglia dalle ampie possibilità economiche gli permise di coltivare a tempo pieno la passione per la pittura di paesaggio e di compiere viaggi per l’Europa che ne arricchirono la formazione. Tappa obbligata di questa educazione, dopo un primo alunnato presso Alexandre Calame a Ginevra concluso nel 1857, fu un lungo soggiorno a Roma che si protrasse sino al 1860 e che si rinnovò intorno al 1865. Qui egli ebbe modo di conoscere Nino Costa e frequentare un entourage colto e ricco di stimoli in cui spiccavano artisti come Enrico Gamba, Frederic Leighton, George Mason e i tedeschi legati ai Deutsch Römer, come Anselm Feuerbach, Hans von Marées e lo stesso Böcklin. Ma fu sopratutto la sua sensibilità a contatto con il vasto scenario della campagna romana a condurlo a superare lo stile minuzioso e finito appreso in Svizzera, a favore di un nuovo linguaggio scarno ed essenziale, in grado di restituire per sintesi gli ampi orizzonti del paesaggio laziale. In questa svolta pare di cogliere un gusto artistico in rapido cambiamento, in cui si riflette l’interesse per la resa del paesaggio “sul vero” - tema che anima il fronte degli artisti più avanzati di quegli anni - e che pare testimoniata anche dall’acquisto delle prime stampe fotografiche di quei luoghi. Una scelta che la mostra restituisce attraverso alcune preziose carte salate di Giacomo Caneva che fanno parte della generosa eredità dei beni che Vittorio Avondo lasciò alla Città di Torino alla sua morte.
Il rapporto tra i suoi schizzi, originariamente raccolti in taccuini, e quelle prime immagini fotografiche offre un ulteriore spunto di riflessione su come si modifichi il modo di guardare al paesaggio in quegli anni: uno sguardo che coglie la natura in presa diretta ma che può anche tornarvi in tempi successivi attraverso gli appunti grafici e le prime immagini fotografiche. Una riflessione che porta a interrogarsi sulla stessa funzione del disegno e su scelte e soluzioni che si discostano radicalmente dalla tradizione accademica.
Si apprende da Giubbini che l'opera è stata pubblicata su "L'Arte in Italia" (agosto 1870, tav. 22) con commento di Camerana a p. 128.
Riguardo allo stile Giubbini ha commentato molto favorevolmente questa acquaforte, mettendola in relazione con "il gruppo delle incisioni più 'finite' di Appian"; sul piano della tecnica ha osservato: "Da notare che il processo di semplificazione, probabilmente già forte nel passaggio dal disegno preparatorio al disegno tracciato con la punta sulla vernice, continua nelle fasi successive della lavorazione della lastra attraverso la mancata o parziale morsura di molti dei segni corrispondenti ai rami degli alberi".
Bibliografia
G. Giubbini, L’acquaforte originale in Piemonte e in Liguria 1860 - 1875, Genova 1976, n.3; A. Dragone, J. Conti, I paesisti piemontesi dell'Ottocento, Milano, 1947; R. Maggio Serra e B. Signorelli, a cura di, Tra verismo e storicismo. Vittorio Avondo (18
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Vittorio AVONDO (Torino, 1836 - Torino, 1910)
Grande collezionista e conoscitore dell’arte medievale e moderna, oltre che pittore paesaggista, Avondo ebbe un ruolo fondamentale nella storia culturale del Piemonte contribuendo, insieme a Alfredo d’Andrade, allo studio e alla tutela del patrimonio artistico del territorio. Importante la sua figura anche per la GAM, egli fu infatti Direttore del Museo Civico di Torino per un lungo periodo, dal 1890 al 1910, e contribuì in modo significativo alla definizione della raccolta d’arte moderna accogliendo ad esempio la donazione delle opere di Antonio Fontanesi. La nascita in una famiglia dalle ampie possibilità economiche gli permise di coltivare a tempo pieno la passione per la pittura di paesaggio e di compiere viaggi per l’Europa che ne arricchirono la formazione. Tappa obbligata di questa educazione, dopo un primo alunnato presso Alexandre Calame a Ginevra concluso nel 1857, fu un lungo soggiorno a Roma che si protrasse sino al 1860 e che si rinnovò intorno al 1865. Qui egli ebbe modo di conoscere Nino Costa e frequentare un entourage colto e ricco di stimoli in cui spiccavano artisti come Enrico Gamba, Frederic Leighton, George Mason e i tedeschi legati ai Deutsch Römer, come Anselm Feuerbach, Hans von Marées e lo stesso Böcklin. Ma fu sopratutto la sua sensibilità a contatto con il vasto scenario della campagna romana a condurlo a superare lo stile minuzioso e finito appreso in Svizzera, a favore di un nuovo linguaggio scarno ed essenziale, in grado di restituire per sintesi gli ampi orizzonti del paesaggio laziale. In questa svolta pare di cogliere un gusto artistico in rapido cambiamento, in cui si riflette l’interesse per la resa del paesaggio “sul vero” - tema che anima il fronte degli artisti più avanzati di quegli anni - e che pare testimoniata anche dall’acquisto delle prime stampe fotografiche di quei luoghi. Una scelta che la mostra restituisce attraverso alcune preziose carte salate di Giacomo Caneva che fanno parte della generosa eredità dei beni che Vittorio Avondo lasciò alla Città di Torino alla sua morte.
Il rapporto tra i suoi schizzi, originariamente raccolti in taccuini, e quelle prime immagini fotografiche offre un ulteriore spunto di riflessione su come si modifichi il modo di guardare al paesaggio in quegli anni: uno sguardo che coglie la natura in presa diretta ma che può anche tornarvi in tempi successivi attraverso gli appunti grafici e le prime immagini fotografiche. Una riflessione che porta a interrogarsi sulla stessa funzione del disegno e su scelte e soluzioni che si discostano radicalmente dalla tradizione accademica.
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Bibliografia
G. Giubbini, L’acquaforte originale in Piemonte e in Liguria 1860 - 1875, Genova 1976, n.3; A. Dragone, J. Conti, I paesisti piemontesi dell'Ottocento, Milano, 1947; R. Maggio Serra e B. Signorelli, a cura di, Tra verismo e storicismo. Vittorio Avondo (18
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Vittorio AVONDO (Torino, 1836 - Torino, 1910)
Grande collezionista e conoscitore dell’arte medievale e moderna, oltre che pittore paesaggista, Avondo ebbe un ruolo fondamentale nella storia culturale del Piemonte contribuendo, insieme a Alfredo d’Andrade, allo studio e alla tutela del patrimonio artistico del territorio. Importante la sua figura anche per la GAM, egli fu infatti Direttore del Museo Civico di Torino per un lungo periodo, dal 1890 al 1910, e contribuì in modo significativo alla definizione della raccolta d’arte moderna accogliendo ad esempio la donazione delle opere di Antonio Fontanesi. La nascita in una famiglia dalle ampie possibilità economiche gli permise di coltivare a tempo pieno la passione per la pittura di paesaggio e di compiere viaggi per l’Europa che ne arricchirono la formazione. Tappa obbligata di questa educazione, dopo un primo alunnato presso Alexandre Calame a Ginevra concluso nel 1857, fu un lungo soggiorno a Roma che si protrasse sino al 1860 e che si rinnovò intorno al 1865. Qui egli ebbe modo di conoscere Nino Costa e frequentare un entourage colto e ricco di stimoli in cui spiccavano artisti come Enrico Gamba, Frederic Leighton, George Mason e i tedeschi legati ai Deutsch Römer, come Anselm Feuerbach, Hans von Marées e lo stesso Böcklin. Ma fu sopratutto la sua sensibilità a contatto con il vasto scenario della campagna romana a condurlo a superare lo stile minuzioso e finito appreso in Svizzera, a favore di un nuovo linguaggio scarno ed essenziale, in grado di restituire per sintesi gli ampi orizzonti del paesaggio laziale. In questa svolta pare di cogliere un gusto artistico in rapido cambiamento, in cui si riflette l’interesse per la resa del paesaggio “sul vero” - tema che anima il fronte degli artisti più avanzati di quegli anni - e che pare testimoniata anche dall’acquisto delle prime stampe fotografiche di quei luoghi. Una scelta che la mostra restituisce attraverso alcune preziose carte salate di Giacomo Caneva che fanno parte della generosa eredità dei beni che Vittorio Avondo lasciò alla Città di Torino alla sua morte.
Il rapporto tra i suoi schizzi, originariamente raccolti in taccuini, e quelle prime immagini fotografiche offre un ulteriore spunto di riflessione su come si modifichi il modo di guardare al paesaggio in quegli anni: uno sguardo che coglie la natura in presa diretta ma che può anche tornarvi in tempi successivi attraverso gli appunti grafici e le prime immagini fotografiche. Una riflessione che porta a interrogarsi sulla stessa funzione del disegno e su scelte e soluzioni che si discostano radicalmente dalla tradizione accademica.
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