Io son Guerriero non temer mia bella, Difenderò la tua beltade in campo...
Riferimento: | S46883 |
Autore | Carlo LASINIO |
Anno: | 1790 ca. |
Misure: | 260 x 210 mm |
Riferimento: | S46883 |
Autore | Carlo LASINIO |
Anno: | 1790 ca. |
Misure: | 260 x 210 mm |
Descrizione
Io sono Guerriero non temere mia bella; Tu l’Amor mio Sarai, tu la mia Stella. Difenderò la tua beltade in campo: Ed io per te Sarò fulmine e lampo.
Acquaforte, finemente colorata a tempera in epoca, firmata in lastra C. Lasinio inc.
Da un soggetto di Leonardo da Vinci.
Appartiene ad una divertente serie di ritratti caricaturali probabilmente ideata sia per divertire gli spettatori dell'epoca, sia come monito urgente a non cadere nei vizi della follia e della vanità. Le raffigurazioni si basano, in forma modificata, sui famosi disegni di teste grottesche di Leonardo da Vinci, oggi conservati nella collezione della Biblioteca Ambrosiana di Milano.
Mentre Leonardo si dedicava con meticolosità quasi scientifica alle deformazioni della fisionomia umana, le opere di Lasinio sono dominate da un elemento burlesco e moraleggiante. Le quartine capricciose e beffarde che si trovano tra le raffigurazioni criticano l'intrinseca cecità della natura umana di fronte al proprio decadimento fisico e la sua tendenza a fingere la giovinezza attraverso costumi ostentati.
Questa serie di caricature, estremamente rara, non è descritta in nessuno dei cataloghi ragionati delle stampe di Lasinio. Probabilmente in origine comprendeva un totale di 12 fogli; 10 di questi si trovano nella Raccolta Achille Bertarelli di Milano. La colorazione, coeva e appena conservata, rende le raffigurazioni particolarmente vivaci.
Carlo Lasinio (Treviso 1759 - Pisa 1838) dopo aver studiato pittura all'Accademia di Venezia, si dedicò all'incisione, lavorando per breve tempo in patria. Verso il 1780 il Lasinio era già a Firenze, dove iniziò la sua fortunata carriera di incisore di riproduzione. Praticò tutte le tecniche tradizionali dell'incisione - bulino, acquaforte, maniera nera, incisione a contorno - e sperimentò con successo il rivoluzionario sistema di E. Dagoty-Le Blon, che prevedeva l'utilizzazione di lastre multiple inchiostrate con i colori rosso, giallo e azzurro che davano l'impressione dell'acquerello. Egli sperimentò a lungo tale tecnica - che già aveva interessato anche Bartolozzi - perfezionandola e combinandola con altre e ritoccando a mano col pennello alcune parti meno riuscite. Con questa tecnica, cromaticamente efficace, riprodusse la numerosa serie di acqueforti - più di 350 incisioni - degli autoritratti conservati agli Uffizi, Ritratti de' pittori esistenti nella Reale Galleria di Firenze…, pubblicata a partire dal 1789.
Per gli editori fiorentini Niccolò Pagni e Giuseppe Bardi, realizzò immagini documentarie relative all'assedio di Mantova da parte dell'armata francese. Ancora per Bardi e Pagni nel 1796 uscì la raccolta di Costumi dei contadini di Toscana, nella quale l'artista, autore delle prime undici tavole, utilizzò il sistema detto à poupée, una sorta di tampone per ciascun colore. Nel 1800 un ritratto di Ferdinando III gli valse la nomina a maestro d'intaglio della Reale Accademia di Firenze.
Bellissima impressione su carta vergata coeva, con margini, in buono stato di conservazione,
Bibliografia
Non in Cassinelli, Nagler e Le Blanc; C. Alberici, Leonardo e l'incisione. Stampe derivate da Leonardo e Bramante dal XV al XIX secolo, Milano 1984, pp.139-140, n. 202-204.
Carlo LASINIO (Treviso 1759 - Pisa 1838)
Secondo quanto riferisce Federici, suo primo biografo, dopo aver studiato pittura all'Accademia di Venezia, si dedicò all'incisione, lavorando per breve tempo in patria. Verso il 1780 il Lasinio era già a Firenze, dove iniziò la sua fortunata carriera di incisore di riproduzione. Praticò tutte le tecniche tradizionali dell'incisione - bulino, acquaforte, maniera nera, incisione a contorno - e sperimentò con successo il rivoluzionario sistema di E. Dagoty-Le Blon, che prevedeva l'utilizzazione di lastre multiple inchiostrate con i colori rosso, giallo e azzurro che davano l'impressione dell'acquerello. Egli sperimentò a lungo tale tecnica - che già aveva interessato anche Bartolozzi - perfezionandola e combinandola con altre e ritoccando a mano col pennello alcune parti meno riuscite. Con questa tecnica, cromaticamente efficace, riprodusse la numerosa serie di acqueforti - più di 350 incisioni - degli autoritratti conservati agli Uffizi, Ritratti de' pittori esistenti nella Reale Galleria di Firenze…, pubblicata a partire dal 1789.
Per gli editori fiorentini Niccolò Pagni e Giuseppe Bardi, realizzò immagini documentarie relative all'assedio di Mantova da parte dell'armata francese. Ancora per Bardi e Pagni nel 1796 uscì la raccolta di Costumi dei contadini di Toscana, nella quale l'artista, autore delle prime undici tavole, utilizzò il sistema detto à poupée, una sorta di tampone per ciascun colore. Nel 1800 un ritratto di Ferdinando III gli valse la nomina a maestro d'intaglio della Reale Accademia di Firenze. Nel 1806, visitando il Camposanto di Pisa con Giovanni Rosini, titolare della stamperia "Società letteraria", rimase impressionato dallo stato di abbandono e degrado in cui versava il monumento. Nell'occasione Rosini, che conosceva la sua abilità di incisore, gli propose di ritrarre gli affreschi che ornavano le pareti del Camposanto per farne una pubblicazione.
L'opera fu avviata nel 1806, e nel dicembre del 1812 uscì la prima edizione, a cui, nel 1828, seguì la seconda. L'opera dal titolo "Pitture a fresco del Campo Santo di Pisa…", si compone di 40 tavole, che traducono in termini ormai preraffaelliti la sua riscoperta dei "primitivi" (Forlani, p. 8). L'anno successivo Maria Luigia di Borbone Spagna lo nominò conservatore del Camposanto di Pisa, carica che mantenne sino alla morte, con l'incarico di di sovrintendere al recupero, riordino e sistemazione delle opere dell'intero complesso, quindi alla trasformazione della raccolta in “museo pubblico” destinato alla memoria dell'arte e della cultura pisana.
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Carlo LASINIO (Treviso 1759 - Pisa 1838)
Secondo quanto riferisce Federici, suo primo biografo, dopo aver studiato pittura all'Accademia di Venezia, si dedicò all'incisione, lavorando per breve tempo in patria. Verso il 1780 il Lasinio era già a Firenze, dove iniziò la sua fortunata carriera di incisore di riproduzione. Praticò tutte le tecniche tradizionali dell'incisione - bulino, acquaforte, maniera nera, incisione a contorno - e sperimentò con successo il rivoluzionario sistema di E. Dagoty-Le Blon, che prevedeva l'utilizzazione di lastre multiple inchiostrate con i colori rosso, giallo e azzurro che davano l'impressione dell'acquerello. Egli sperimentò a lungo tale tecnica - che già aveva interessato anche Bartolozzi - perfezionandola e combinandola con altre e ritoccando a mano col pennello alcune parti meno riuscite. Con questa tecnica, cromaticamente efficace, riprodusse la numerosa serie di acqueforti - più di 350 incisioni - degli autoritratti conservati agli Uffizi, Ritratti de' pittori esistenti nella Reale Galleria di Firenze…, pubblicata a partire dal 1789.
Per gli editori fiorentini Niccolò Pagni e Giuseppe Bardi, realizzò immagini documentarie relative all'assedio di Mantova da parte dell'armata francese. Ancora per Bardi e Pagni nel 1796 uscì la raccolta di Costumi dei contadini di Toscana, nella quale l'artista, autore delle prime undici tavole, utilizzò il sistema detto à poupée, una sorta di tampone per ciascun colore. Nel 1800 un ritratto di Ferdinando III gli valse la nomina a maestro d'intaglio della Reale Accademia di Firenze. Nel 1806, visitando il Camposanto di Pisa con Giovanni Rosini, titolare della stamperia "Società letteraria", rimase impressionato dallo stato di abbandono e degrado in cui versava il monumento. Nell'occasione Rosini, che conosceva la sua abilità di incisore, gli propose di ritrarre gli affreschi che ornavano le pareti del Camposanto per farne una pubblicazione.
L'opera fu avviata nel 1806, e nel dicembre del 1812 uscì la prima edizione, a cui, nel 1828, seguì la seconda. L'opera dal titolo "Pitture a fresco del Campo Santo di Pisa…", si compone di 40 tavole, che traducono in termini ormai preraffaelliti la sua riscoperta dei "primitivi" (Forlani, p. 8). L'anno successivo Maria Luigia di Borbone Spagna lo nominò conservatore del Camposanto di Pisa, carica che mantenne sino alla morte, con l'incarico di di sovrintendere al recupero, riordino e sistemazione delle opere dell'intero complesso, quindi alla trasformazione della raccolta in “museo pubblico” destinato alla memoria dell'arte e della cultura pisana.
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