Gioco di Ponte della Citta di Pisa

Riferimento: S50200
Autore Gaetano Maria FRANCHI
Anno: 1761 ca.
Zona: Pisa - Gioco del Ponte
Luogo di Stampa: Pisa
Misure: 550 x 405 mm
2.250,00 €

Riferimento: S50200
Autore Gaetano Maria FRANCHI
Anno: 1761 ca.
Zona: Pisa - Gioco del Ponte
Luogo di Stampa: Pisa
Misure: 550 x 405 mm
2.250,00 €

Descrizione

Spettacolare rappresentazione settecentesca del Gioco del Ponte disegnata da Gaetano Maria Franchi.

Acquaforte, 1761, firmata in lastra in basso a destra.

Esemplare nel secondo stato di tre, con la data corretta in 1776.

La bella acquaforte attribuita allo stesso Gaetano Maria Franchi (sicuramente il disegnatore dell’opera) è corredata di una didascalia che permette di identificare i palazzi e monumenti più noti che insistono sui lungarni. In questa si notano gli steccati di contenimento dei combattenti e risalta il grande concorso di visitatori che si affastellano lungo le sponde e sopra i tetti dei palazzi, mentre la battaglia infuria sul ponte dove, sebbene vietato dalle regole, qualche partecipante sta usando irregolarmente il targone come una mazza per colpire i nemici. La violenza dello scontro è ribadita dal solito e costante motivo dei targoni che precipitano in Arno. Questa stampa è servita da modello seguito quasi pedissequamente dagli incisori che resero il Gioco del Ponte nei decenni successivi.

Il Gioco del Ponte è uno degli eventi più sentiti della tradizione pisana, capace di mescolare storia, folklore e orgoglio civico, che si iscrive a giusta ragione in quel novero di appuntamenti, in bilico tra rievocazioni storiche e competizioni ancora vive in Toscana, come il Palio di Siena, il Calcio storico fiorentino e la Giostra del Saracino ad Arezzo.

Le tradizioni del Gioco sono antichissime: comunemente si ritiene sia l’erede del Mazzascudo, una sorta di torneo medievale che si svolgeva durante i fasti della Repubblicana Pisana, in Piazza degli Anziani, odierna Piazza dei Cavalieri. La volontà di questo torneo, come di altri, era di rendere la guerra un gioco, mantenendo i partecipanti in allenamento per essere più pronti sui campi di battaglia. Il Mazzascudo si componeva prima di sfide individuali poi tra fazioni, il Gallo e la Gazza, che si contendevano a suon di mazze e scudi il territorio di gioco avversario. Pare che le prime notizie di tale disfida risalgano al 1168, ed ebbe vita lunga, quantomeno fino all’inizio della dominazione fiorentina nei primi anni del XV secolo.

Nel 1568, sotto il granduca Cosimo I de’ Medici, viene elaborato il nuovo gioco; il Ponte Vecchio (oggi noto come di Mezzo) è lo scenario prescelto, e le fazioni opposte si contendono le due sponde attraverso un combattimento fisico utilizzando il “targone”, una tavola di legno allungata che ricorda una mazza, usata tanto per offendere quanto per difendere, e recante i colori delle diverse squadre, formate da giocatori provenienti dalle due parti della città, Tramontana a Nord e Mezzogiorno a Sud, e suddivisi in squadre composte da 50 o 60 soldati. I combattenti vestivano con abbigliamento del tempo o in alcune edizioni con vesti di fantasia, con richiami all’esotico o alle imprese militari contro i mussulmani. Con questa impostazione, anche se le regole furono più volte modificate, il Gioco prosperò fino all’avvento di Pietro Leopoldo di Lorena, a cui era inviso, perché comportava disordini e reminiscenze autonomiste, e fu sospeso per ventidue anni. Nel 1807 fu definitivamente soppresso perché ritenuto troppo cruento.

“Modesti pittori-decoratori come questo G[aetano?] Franchi (forse lo stesso che risulta operante nella chiesa di S. Antonio nel 1766 e per la compagnia di S. Orsola nel '67) e gli ancor più modesti tipografi cittadini figurano, già nel seicento, tra i soggetti a vario titolo cointeressati nell'indotto produttivo e commerciale attivato dall'organizzazione e dalla fruizione della festa-spettacolo pisana, che convogliava in città un flusso straordinario di visitatori (nel 1755 ad esempio si sarebbero contati, secondo la cronaca del Luchetti, oltre sessantamila forestieri, tre volte e mezzo la popolazione residente). A partire dal 1761 e per l'ultimo venticinquennio di vita settecentesca del Gioco, partecipa al pubblico vantaggio» anche la calcografia che offre all'entusiasmo dei pisani e all'emozione dei turisti la seduzione di quest'immagine insieme didascalica ed evocativa, dettagliata come una cronaca nella trama descrittiva, costipata e variopinta nella raffigurazione dello spazio scenico, semplificata ed ingenua nell'impaginazione del fondale prospettico, grande e decorativa per una destinazione d'arredo. Menzionata (indirettamente, nella versione Lanfranchi) da P. Toschi che la classifica nel repertorio tematico e tipologico delle Stampe popolari italiane di soggetto profano, la ricostruzione del Franchi fissa uno stereotipo più volte replicato tra il 1761 e il 1785: questo stesso rame viene rieditato nel '76 coll'unica variante della data aggiornata ed è verosimile che sia stato ancora ripubblicato dopo questa data; nell'85, per l'edizione straordinaria del Gioco in onore dei reali di Napoli, le botteghe calcografiche locali, soprattutto livornesi, pubblicano tre fogli che ridisegnano la veduta del Fran- chi, con piccole varianti e «simbolici» aggiornamenti; ed anche un pittore e disegnatore di reputazione come Giuseppe Maria Terreni, che al seguito della corte ha incarico d'immortalare le spettacolari scenografie dei festeggiamenti pisani, riprende, nella tempera di Palazzo Pitti (PPF, O.d.a. 1911, n. 1437) la «quadratura» del Franchi, rialzandone appena il punto di vista. Resta ignorato il bel precedente seicentesco di Della Bella e Lucini, espressione di una cultura figurativa e di un talento grafico, di una acutezza analitica di percezione e annotazione e di una capacità di sintesi compositiva elegante e armoniosa, espressione anche di una fisionomia del Gioco troppo distanti dall'orizzonte del Franchi: accomuna le due immagini, pur così diverse, la forma-teatro che impronta entrambe. Già nel corso del '600 gli ingredienti cavallereschi e la committenza medicea cedono al progressivo radicamento del Gioco nel tessuto cittadino e alla sua caratterizzazione di massa col (ri)affermarsi esclusivo della componente agonistico-spettacolare che alimenta le rivalità rissose di quartiere. Finanziamento e allestimento del Gioco è prerogativa e onere, sempre più gravoso, di armatori locali; si complicano e si cristallizzano organizzazione e tecnica di gara, con l'istaurarsi di legami di tifoseria che esplodono in frequenti tumulti. Chi, come Franchi o il suo committente-calcografo, si propone di commerciare l'immagine del Gioco deve anzitutto assecondare la coazione infantile dei potenziali acquirenti a riconoscere scena e spettacolo nei particolari caratteristici e curiosi. L'occhio dell'osservatore si porta dunque a ridosso del Ponte del Gioco in- torno al quale si accalca il pubblico delle autorità e la folla degli spettatori, dominando perfettamente, di fronte e dall'alto come da un palco d'onore, giocatori pubblico e quinte. Concretezza, nitidezza e abbondanza di dettagli realistici e tipici (compresa, in primo piano, la citazione delle immancabili risse), sono affidati a una rustica ma non spiacevole rigidezza e sommarietà di disegno e proiettati nell'elementare, simmetrico schematismo di una fuga del lungarno compendiaria e posticcia come un telone scenico, su cui la linea si fa più incerta e il segno pallido e cangiante, derealizzando l'immagine come in un riflesso d'acqua o nella rapida dissolvenza dello spazio/tempo della festa. I 44 descrittori rubricati in margine, identificano puntualmente le bandiere delle 12 squadre, nonché i palazzi, privati e pubblici, le locande, piazze, chiese del lungarno orientale, compresa la Fortezza” (cfr. M. Bernardini, Pisa, Iconografia a stampa dal XV al XVIII secolo, p. 187).

Magnifica prova, impressa su carta vergata coeva e finemente colorata a mano, margini laterali aggiunti, tracce di pieghe di carta visibili perlopiù al verso, per il resto in ottimo stato di conservazione.

Bibliografia

M. Bernardini, Pisa, Iconografia a stampa dal XV al XVIII secolo, p. 187, n. 68, II/III; Pisa e il suo territorio: tra cartografia e vedutismo dal XV al XIX secolo. La raccolta di Valentino Cai, p. 71, n. 80.

 

Gaetano Maria FRANCHI (attivo a Pisa nel XVIII secolo)

Gaetano Maria Franchi, pittore pisano del XVIII secolo, dipinse nel 1766 due pale per la chiesa di Sant'Antonio e nel 1776 una pala di altare per la chiesa di San Bartolomeo a Bagni di San Giuliano, Pisa.

Gaetano Maria FRANCHI (attivo a Pisa nel XVIII secolo)

Gaetano Maria Franchi, pittore pisano del XVIII secolo, dipinse nel 1766 due pale per la chiesa di Sant'Antonio e nel 1776 una pala di altare per la chiesa di San Bartolomeo a Bagni di San Giuliano, Pisa.