Ritratto di Aloisio Mocenigo
Riferimento: | S37811 |
Autore | Marco Alvise PITTERI |
Anno: | 1763 ca. |
Misure: | 393 x 530 mm |
Riferimento: | S37811 |
Autore | Marco Alvise PITTERI |
Anno: | 1763 ca. |
Misure: | 393 x 530 mm |
Descrizione
Acquaforte, 1763, in basso a sinistra “Nazarius Nazarii pinxit”; a destra “Marcus Pitteri sculpsit”. Nel margine inferiore, con al centro lo stemma araldico, l’iscrizione latina “Aloysius Monenicus Venetiarum Dux CXIX/ Suae Gentis VII, assumptus XIII Kal. Maij Anni MDCCLXVIII”. Da un dipinto di Nazario Nazari.
Bell’esemplare, applicato su antico supporto cartaceo, rifilato alla linea marginale, in ottimo stato di conservazione.
Alvise IV Mocenigo fu il centodiciottesimo Doge della Serenissima, il settimo doge della casata dei Mocenigo, dal 19 aprile 1763 alla sua morte, nel 1778.
Per ricordare i festeggiamenti della sua elezione Lodovico Furlanetto ordinò al Canaletto dodici disegni che venne poi trasferiti su lastre di rame da Giambattista Brustolon raffiguranti le solennità dogali, che Francesco Guardi e altri artisti riproporranno in dipinti.
In basso a sinistra, timbro di possesso non identificato Lugt, 4159
Marco Alvise PITTERI (1702 - 1786)
Scolaro forse dapprima del Piazzetta, alla bottega dell'incisore Baroni formò più particolarmente la sua educazione tecnica d'incisore, attratto però ben presto, attraverso i modelli di G. A. Faldoni, alle nuove applicazioni stilistiche introdotte dal francese Cl. Mellan: dal quale partì per realizzare arditi suoi personali tentativi di nuovi procedimenti tecnici speciamente nella forma, nella struttura e nella direzione dei tagli a bulino; innovazioni che servirono gradatamente a perfezionare la sua tecnica fino a fargli raggiungere conquiste di alto valore nel campo dell'incisione, per cui egli fu salutato, anche fra i contemporanei, auspice Carlo Goldoni, artista insuperato ai suoi giorni. Col Pitteri, a Venezia, l'incisione, conquistata l'illusione pittorica attraverso mirabili morbidezze di toni, di gradazioni e di lievi sfumature chiaroscurali, lascia gli albi, i libri, le cartelle e passa, sostituendo il dipinto, a decorare anche le pareti degli ambienti borghesi. Assai di rado però egli produsse opera di sua invenzione.
La sua vasta produzione, che secondo A. Ravà consta di 444 rami, comprese le illustrazioni di libri, si appoggia ad alcuni fra i maggiori maestri della pittura veneziana del Settecento, e in primo luogo a Giambattista Piazzetta.
A tale collaborazione, che, iniziatasi nel 1740 con il raro Officium Beatae Mariae Virginis (detto del Caime), si protrasse anche oltre la morte stessa del Piazzetta (1754), fino a giungere alla riproduzione, in collaborazione col giovanissimo Francesco Bartolozzi, delle 24 tavole di Studi di pittura (1760); seguì quella col pittore Pietro Longhi, di cui incise, principalmente, a cominciare dal 1775 le due note serie di dipinti, dei Sette Sacramenti e delle sei Caccie in Valle; né sono da dimenticare le sue riproduzioni da pitture del Tiepolo e da dipinti, specialmente ritratti ed immagini sacre, del Batoni, del Mingardi, del Ribera, del Tenier, del Dolci e dei maggiori scolari del Piazzetta; e, fra le illustrazioni di libri, le 111 vignette con cui si ornano i 5 volumi delle Opere di Virgilio, vasta e faticosa opera, a cui attese fra il 1757 e il 1765.
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Marco Alvise PITTERI (1702 - 1786)
Scolaro forse dapprima del Piazzetta, alla bottega dell'incisore Baroni formò più particolarmente la sua educazione tecnica d'incisore, attratto però ben presto, attraverso i modelli di G. A. Faldoni, alle nuove applicazioni stilistiche introdotte dal francese Cl. Mellan: dal quale partì per realizzare arditi suoi personali tentativi di nuovi procedimenti tecnici speciamente nella forma, nella struttura e nella direzione dei tagli a bulino; innovazioni che servirono gradatamente a perfezionare la sua tecnica fino a fargli raggiungere conquiste di alto valore nel campo dell'incisione, per cui egli fu salutato, anche fra i contemporanei, auspice Carlo Goldoni, artista insuperato ai suoi giorni. Col Pitteri, a Venezia, l'incisione, conquistata l'illusione pittorica attraverso mirabili morbidezze di toni, di gradazioni e di lievi sfumature chiaroscurali, lascia gli albi, i libri, le cartelle e passa, sostituendo il dipinto, a decorare anche le pareti degli ambienti borghesi. Assai di rado però egli produsse opera di sua invenzione.
La sua vasta produzione, che secondo A. Ravà consta di 444 rami, comprese le illustrazioni di libri, si appoggia ad alcuni fra i maggiori maestri della pittura veneziana del Settecento, e in primo luogo a Giambattista Piazzetta.
A tale collaborazione, che, iniziatasi nel 1740 con il raro Officium Beatae Mariae Virginis (detto del Caime), si protrasse anche oltre la morte stessa del Piazzetta (1754), fino a giungere alla riproduzione, in collaborazione col giovanissimo Francesco Bartolozzi, delle 24 tavole di Studi di pittura (1760); seguì quella col pittore Pietro Longhi, di cui incise, principalmente, a cominciare dal 1775 le due note serie di dipinti, dei Sette Sacramenti e delle sei Caccie in Valle; né sono da dimenticare le sue riproduzioni da pitture del Tiepolo e da dipinti, specialmente ritratti ed immagini sacre, del Batoni, del Mingardi, del Ribera, del Tenier, del Dolci e dei maggiori scolari del Piazzetta; e, fra le illustrazioni di libri, le 111 vignette con cui si ornano i 5 volumi delle Opere di Virgilio, vasta e faticosa opera, a cui attese fra il 1757 e il 1765.
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