LA TOSCANA - Tusciae elegantioris Italiae partis...

Riferimento: CO-379
Autore Antonio SALAMANCA
Anno: 1558 ca.
Zona: Tuscia
Luogo di Stampa: Venezia
Misure: 530 x 390 mm
5.000,00 €

Riferimento: CO-379
Autore Antonio SALAMANCA
Anno: 1558 ca.
Zona: Tuscia
Luogo di Stampa: Venezia
Misure: 530 x 390 mm
5.000,00 €

Descrizione

In alto al centro, entro un cartiglio a forma di nastro sorretto da un tronco d’albero, è inciso il titolo: LA TOSCANA. A destra è rappresentato un cartiglio a forma di scudo dove si legge: HIERONIMO BELL’ARMATO COSMOGRAFO. Tusciae elegantioris Italiae partis Corographiam descripsimus atque ita quidem ut nihil amplius in ea desiderari possit Vale. Più in basso, sulla punta dello scudo, troviamo la data: 1558.

Nella parte superiore del cartiglio, evidenziata da un compasso, è rappresentata la Distantiam Locorum Indicabit, scala di 30 miglia, pari a mm 80. Orientazione nei quattro lati al centro; sono indicati solo Oriente, ed Occidente, il nord è in alto. Graduazione ai margini di 1’ in 1’, da 41° 24’ a 43° 27’ di latitudine e da 32° 33’ a 36° 28’ di longitudine.

Rarissima carta anonima, priva di indicazioni editoriali nelle sue prime stesure. È una derivazione della Chorographia Tusciae di Girolamo Bellarmato del 1536. Nelle vicinanze di Siena, Montalcino e Val di Chiana, sono raffigurati gruppi armati, ad indicare conflitti lì avvenuti o in corso. Sebbene priva del nome dell’autore, la lastra può essere riconducibile alla tipografia di Antonio Salamanca, e alla mano del cosiddetto Maître à l’arbre, per l’emblema del tronco raffigurato nel nastro, autore di altre carte già associate al Salamanca. Il primo stato dell’opera è datato al 1554 e non riporta il titolo nel cartiglio. Una seconda tiratura della lastra (1558) viene completata con l’iscrizione nel cartiglio. Con la fusione tra la tipografia di Salamanca e quella di Antonio Lafreri, la matrice entrò a far parte della più importante stamperia romana. L’opera viene quindi ereditata da Claudio Duchetti, autore di una ristampa inalterata con l’aggiunta della propria firma. La matrice è presente nel catalogo della vedova di Giacomo Gherardi, erede del patrimonio calcografico del Duchetti, dell’ottobre 1598 (n. 315 descritta come “la Toscana reale”). Venne acquistata da Giovanni Orlandi (ristampa con data 1602) e successivamente da Hendrick van Schoel e infine da Francesco de Paoli. Sebbene non siano noti esemplari a firma van Schoel, non si esclude l’esistenza di una tiratura della lastra curata dall’editore fiammingo.

“La Chorographia Tusciae di Girolamo Bellarmato (o Bellarmati) rappresenta il prototipo della cartografia a stampa della regione. Di forma leggermente trapezoidale, è composta da quattro fogli uniti. Sebbene priva di scala grafica, dal valore dei gradi di latitudine possiamo ricostruire il valore della riduzione, pari a 1:325.000 circa. Nella lunga dedica a Valerio Orsini, generale dell’esercito dei Medici, l’autore specifica che la carta è utile per la professione sua presentandola perciò quale strumento ad uso militare, politico e amministrativo. Questo prodotto cartografico si basa su dati ricavati da una sistematica osservazione diretta, da misurazioni e rilievi effettuati dall’autore sul territorio. Viene data attenzione a tutti gli aspetti geografici; per i centri abitati la grandezza della raffigurazione è rapportata all’entità della popolazione. Molto curata l’idrografia, ben evidenziata l’orografia che è disegnata con dei coni, di maggiori dimensioni per i rilievi più importanti. Questo pregevole ed innovativo lavoro fu preso a modello per molti anni a seguire ed ebbe numerose derivazioni. Come osserva Biasutti (1908), anche Gastaldi utilizzò il rilievo del Bellarmato per comporre la sua carta della penisola (1561). L’opera costituisce altresì la base per le carte della regione che i fiamminghi Abraham Ortelius (1570) e Gerard Mercator (1587) inseriscono nei rispettivi atlanti. Della carta è oggi noto un solo esemplare, conservato all’Archivio di Stato di Firenze” (cfr. Cartografia e Topografia Italiana del XVI secolo p. 1961).

Acquaforte e bulino, impressa su carta vergata coeva priva di filigrana, con margini, due fori di tarlo restaurati in basso, leggera e uniforme brunitura della carta, per il resto in buono stato di conservazione.

Esemplare nel quarto stato di sei, con l’imprint di Giovanni Orlandi e la data 1602, censito in soli 4 esemplari istituzionali in Cartografia e Topografia Italiana del XVI secolo: Chicago, Newberry Library; Perugia, Biblioteca Augusta; Roma, Corsiniana; Torino, Archivio di Stato.

Bibliografia

S. Bifolco – F. Ronca, Cartografia e Topografia Italiana del XVI secolo pp. 1968/69, tav. 991 IV/VI; Alberti (2009): p. 121, n. A.41a; Almagià (1929): p. 20, A; Bifolco-Ronca (2014): n. 84; Cartografia Rara (1986): n. 132; Ganado (1994): V, n. 108; Karrow (1993): n. 10/1.3; Pagani (2012): p. 81; Perini (1996): p. 101; Pellegrini (2002): pp. 96-99, tav. I; Tooley (1939): n. 569, n. 570 & n. 573; Valerio (2008): tavv. 24 & 25.

Antonio SALAMANCA (Milano ?, 1478 – Roma, 1562)

Incisore, stampatore e libraio, di origine milanese, si stabilì a Roma prima del 1527 e fu attivo già dal 1519. La sua bottega si trovava all’interno del rione Parione, cuore del mercato libraio romano. Salamanca ebbe il merito di riuscire ad aggiornare la sua produzione ed a stampare quello che il mercato richiedeva al momento, si trattasse di vedute e piante di città, statue antiche, ritratti di personaggi importanti e un numero considerevole di vedute romane. Questi lavoro vennero affidati sia a incisori noti per le loro riconosciute qualità artistiche, sia a nuove figure di giovani incisori. Antonio Salamanca trovatosi a Roma durante il Sacco (1527), ricercaò con molta cura, non solo per fini mercantili, i rami dispersi, restaurando quelli deteriorati e curando la ristampa delle vecchie lastre, permettendo la sopravvivenza fino a noi di importanti opere della tradizione calcografica italiana. I rami di sua proprietà erano passati nelle mani del suo concorrente Antonio Lafréy, già presente sul mercato libraio romano dal 1544, con il quale il Salamanca decise di associarsi nel 1553 dopo diversi anni di accesa rivalità. Presumibilmente i due, una volta in società, unirono tutti i loro rami e la loro raccolta di incisioni per la stampa e per la vendita, rimanendo ognuno proprietario delle proprie cose. Nel 1566 Antonio Salamanca e Antonio Lafrèry pubblicarono “Historia de la compocicion del cuerpo humano” di Joan de Valverde, con tavole incise da Beatricetto, e nel 1560 il Planisfero doppio cuoriforme, opere che in alcune copie presenta il nome del Salamanca sostituito da Lafréry. Del 1555 è una pianta di Roma “ Urbis Romae Descriptio” incisa da Jacob Bos, e pubblicata nelle stesso anno anche da Lafréry. La sua opera maggiore è costituita dalle numerose incisioni che aveva preparato per lo Speculum romanae magnificentiae, pubblicato da Lafrery nel 1575. Salamanca morì verso la metà del 1562 e, secondo accordi stabiliti precedentemente, alla società subentrò il figlio Francesco, ma per ragioni ancora poco chiare essa venne sciolta dopo solo un anno e tutto il materiale fu venduto a Lafréry.

Antonio SALAMANCA (Milano ?, 1478 – Roma, 1562)

Incisore, stampatore e libraio, di origine milanese, si stabilì a Roma prima del 1527 e fu attivo già dal 1519. La sua bottega si trovava all’interno del rione Parione, cuore del mercato libraio romano. Salamanca ebbe il merito di riuscire ad aggiornare la sua produzione ed a stampare quello che il mercato richiedeva al momento, si trattasse di vedute e piante di città, statue antiche, ritratti di personaggi importanti e un numero considerevole di vedute romane. Questi lavoro vennero affidati sia a incisori noti per le loro riconosciute qualità artistiche, sia a nuove figure di giovani incisori. Antonio Salamanca trovatosi a Roma durante il Sacco (1527), ricercaò con molta cura, non solo per fini mercantili, i rami dispersi, restaurando quelli deteriorati e curando la ristampa delle vecchie lastre, permettendo la sopravvivenza fino a noi di importanti opere della tradizione calcografica italiana. I rami di sua proprietà erano passati nelle mani del suo concorrente Antonio Lafréy, già presente sul mercato libraio romano dal 1544, con il quale il Salamanca decise di associarsi nel 1553 dopo diversi anni di accesa rivalità. Presumibilmente i due, una volta in società, unirono tutti i loro rami e la loro raccolta di incisioni per la stampa e per la vendita, rimanendo ognuno proprietario delle proprie cose. Nel 1566 Antonio Salamanca e Antonio Lafrèry pubblicarono “Historia de la compocicion del cuerpo humano” di Joan de Valverde, con tavole incise da Beatricetto, e nel 1560 il Planisfero doppio cuoriforme, opere che in alcune copie presenta il nome del Salamanca sostituito da Lafréry. Del 1555 è una pianta di Roma “ Urbis Romae Descriptio” incisa da Jacob Bos, e pubblicata nelle stesso anno anche da Lafréry. La sua opera maggiore è costituita dalle numerose incisioni che aveva preparato per lo Speculum romanae magnificentiae, pubblicato da Lafrery nel 1575. Salamanca morì verso la metà del 1562 e, secondo accordi stabiliti precedentemente, alla società subentrò il figlio Francesco, ma per ragioni ancora poco chiare essa venne sciolta dopo solo un anno e tutto il materiale fu venduto a Lafréry.